Oltre ad essere una piccola cittadina galiziana, nel nord della Spagna, famosa soprattutto per il suo turismo termale, Ourense è il capoluogo dell’omonima “comarca”, cioè di una provincia il cui territorio conta poco più di 300mila abitanti.
Sin qui nulla di strano, se non fosse che qualche tempo fa è salita alla ribalta per il suo elevato tasso di centenari: il numero dei suoi abitanti che hanno superato i 100 anni, infatti, è tre volte superiore al record finora imbattuto della città di Okinawa, in Giappone.
Nel territorio di Ourense, secondo dati raccolti dall’Istituto Galiziano di Statistica, vivono 230 persone che hanno 100 o più anni: il che farebbe supporre un tasso di 75 centenari ogni 100.000 abitanti. Dati che vanno aggiornati alla fine dello scorso anno, quando si è raggiunta la cifra record di 78, superando così il tasso della prefettura di Okinawa, considerata fino a quel momento il modello mondiale di longevità, con 76 abitanti su 100.000.
Tutto ciò rende Ourense un laboratorio demografico di prim’ordine, e praticamente “vergine”, poichè inesplorato, a differenza di altre zone del mondo da tempo note come “zone più longeve”: la già citata Okinawa, la nostra Sardegna, l’isola di Itaca in Grecia.
In molte regioni rurali, non solo spagnole, non è difficile incontrare persone che hanno superato i 90 anni di età, ancora in buone condizioni sia fisiche che mentali, ma ciò che fa di Ourense un “unicum” non è la quantità, bensì la qualità degli anni di vita.
Il fenomeno ha un nome scientifico e si chiama “compressione della morbilità”, ovvero la tendenza a vivere “vecchiaie di successo” senza gravi malattie disabilitanti, ritardando la perdita di autonomia fino ad un’età estremamente avanzata.
Ma qual è il segreto? I geni? Una buona alimentazione? Uno stile di vita tradizionale?
«Un poco di tutto questo», afferma Miguel Ángel Vásquez, medico geriatra e presidente della Società Galiziana di Gerontologia e Geriatria. «In realtà – prosegue – la longevità deriva da un cocktail di fattori. Però, una delle caratteristiche peculiari di questa regione rurale della Spagna è l’assenza di stress dovuta all’istituto del “microfondo”, in base a cui solo il primogenito eredita la terra e gli altri figli devono emigrare e trovare fortuna altrove. Chi rimane, per vivere, deve lavorare i campi e curare il bestiame, e in una società tradizionalmente maschilista come quella spagnola, i compiti più gravosi sono sempre spettati alla donna, dal momento che l’uomo, terminato il lavoro nei campi, si ritrova al bar con gli amici. Non a caso le donne vivono almeno 4 anni in più degli uomini».
Anche la mancanza di inquinamento e il gran numero di ore di luce solare fanno la loro parte, così come l’abitudine delle persone a condurre un’esistenza solitaria ma allo stesso tempo solidale. La comunità, intesa come l’insieme costituito dalla famiglia e dai vicini, è un’ancora di appoggio ed arriva anche laddove non arrivano i servizi sociali.
Ma cosa accadrà di Ourense e dei suoi futuri abitanti quando questa generazione sarà scomparsa? I loro figli e i loro nipoti, che hanno abbandonato la vita campestre per la città, avranno sicuramente un’ottima aspettativa di vita, forse vivranno di più, ma invecchieranno altrettanto bene?
Saranno come Pepe, che, nonostante il Parkinson, tutti i giorni va nel bosco a raccogliere legna, o come Eustaquio, che a 99 anni, una vita di lavoro da quando a 8 anni attraversava il confine col Portogallo col suo carico di baccalà e rame di contrabbando, si occupa ancora di guidare il suo gregge per la montagna? O come Isaac e Camila che, con i loro 88 e 82 anni, tutti i giovedì vendono i prodotti dell’orto al mercato?
Non lo sappiamo ancora, ma per il momento non possiamo non guardare con ammirazione a questi “ultimi mohicani” che, nonostante l’età, conducono una vita piena: guidano il trattore, si occupano degli animali della fattoria, mandano avanti la loro attività, hanno accanto la famiglia e gli amici. In una parola, vivono la vita.
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