Gli abiti usati sono sostenibili e compatibili con le nuove esigenze di risparmio. La tendenza all’acquisto vale miliardi di euro e cambia le abitudini dei consumatori
Abiti usati e accessori, e anche oltre. La moda del riusato, nota come ‘second hand’, ha registrato solo nell’ultimo anno un’impennata degli acquisti sia sul web che nei negozi. Un settore che produce più di 6 miliardi di euro. A riferirlo è il sondaggio IPSOS dello scorso settembre, realizzato per Confesercenti. Dalle interviste è emerso che il 56% dei consumatori, negli ultimi 12 mesi, si è rivolto alle piattaforme online di vendita di capi usati per fare acquisti, e il 51% ha acquistato abiti e accessori di seconda mano in negozi fisici o nei mercati ambulanti.
Riuso e sostenibilità
Un nuovo modo di fare acquisti nel settore della moda confermato anche dall’ultimo report di Wallapop, la piattaforma spagnola di compravendita di oggetti e vestiti di seconda mano, attiva in Italia da tre anni. Secondo le stime della piattaforma, tra cinque anni le persone “saranno consumatori più circolari e consapevoli”. Gli annunci italiani sulla piattaforma sono aumentati del 97%, segno che il trend della compravendita del riutilizzato è in crescita. A influire su questa tendenza sono anche scelte di impatto ambientale e ricondizionamento dei prodotti: una persona su cinque, secondo Wallapop, dichiara di aver acquistato più prodotti riparati dell’anno precedente. Il riuso come risposta, quindi, alle “tensioni tra sostenibilità, prezzo e riduzione del potere d’acquisto”, come afferma Pol Fábrega, responsabile della sostenibilità di Wallapop.
Un dato confermato dal sondaggio IPSOS per Confesercenti. Il 34% del campione intervistato, sempre nell’ultimo anno, preferisce portare a riparare i propri capi di abbigliamento, anziché comprarne nuovi. Hanno fatto la loro ricomparsa, infatti, le sartorie, la cui diffusione sul mercato è aumentata del 4% negli ultimi dieci anni. A questo trend si aggiunge anche una nuova tendenza: la ricerca di capi prodotti con materiali riciclati, che il 24% degli intervistati “acquista sempre o spesso”.
Second hand e Made in Italy
Una sostenibilità che rischia di mettere in crisi il Made in Italy e la filiera della moda, tra cui rientrano anche i negozi. Il 2024 ha visto un calo delle vendite dei prodotti di moda, sia nei primi sei mesi dell’anno sia durante i saldi di luglio, che si sono chiusi con una perdita media dell’8,1% rispetto allo stesso periodo del 2023 (dati: Federazione Moda Italia-Confcommercio). Risparmio e sostenibilità hanno cambiato le abitudini degli italiani nell’acquisto di capi anche griffati.
Presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, Giulio Felloni: “In un contesto di sfide significative, aggravate dalla globalizzazione e dalla concorrenza dei colossi del web, è importante rendere i centri storici più attrattivi e promuovere i valori del Made in Italy, dello slow fashion e della sostenibilità ambientale ed economica”.
La vera sfida alla sostenibilità della moda del second hand, adesso, è rendere la filiera della moda accessibile, incoraggiando gli acquisti di prodotti di moda sostenibili nei negozi fisici. Un patto per la “filiera etica”, che aspetta l’approvazione del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
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