Dopo trecento ore di negoziati serratissimi e una serie di turbolenze molto violente, alla fine in pochi minuti i delegati hanno votato un documento che ci porterà fuori dall’era dei combustibili fossili
Diciamocelo, fino all’ultimo momento nessuno ci sperava davvero che la Conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (COP28) più controversa della storia dei negoziati climatici terminasse con un Accordo da molti definito “storico”.
Per la prima volta in una Conferenza sul clima si parla di superamento delle fonti fossili, mettendo nero su bianco in un documento multilaterale dell’Onu, sottoscritto da 196 Paesi, la parola Transitioning away, abbandono delle fonti fossili.
Certamente si tratta di una formula più sfumata rispetto a quella voluta da un fronte di centoventi Paesi che andava dall’Europa agli Stati più vulnerabili: il phase out dai combustibili fossili e cioè l’eliminazione. Più sfumata, ma pur sempre nella stessa direzione, e cioè la fine della dipendenza dalle fonti fossili. E la notizia è stata proprio questa: è stato trovato un accettabile compromesso a COP28.
E pensare che i negoziati erano partiti decisamente in salita. Gli Emirati, che ospitavano la Cop, sono un Paese che vive di petrolio e gas: Dubai è il settimo produttore di petrolio al mondo e il quinto per riserve di gas. E a guidare il negoziato è stato il sultano Al Jaber, in veste sia di presidente della Cop (quindi capo diplomatico, arbitro della partita) che di Ceo di Adnoc, azienda petrolifera di stato (quindi giocatore della partita). Un conflitto di interessi problematico che non lasciava presagire niente di buono per il futuro del clima e per tutti noi. Eppure dopo trecento ore di negoziati serratissimi e una serie di turbolenze molto violente, alla fine in pochi minuti i delegati hanno votato un documento che ci porterà fuori dall’era dei combustibili fossili. Perché se per anni è stata la scienza a ricordarci che il clima è un problema di combustibili fossili e che si risolve partendo da questi, da oggi questo è patrimonio di tutta la comunità umana. E l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili è cominciato sotto la guida di un Paese produttore di petrolio e di gas (sempre più spesso la realtà supera di gran lunga la fantasia…).
Certo, non saranno tutte “rose e fiori”, come per ogni dipendenza, sarà una fine lunga, annacquata, piena di contraddizioni ma, da questo punto di vista, possiamo definirlo un risultato storico.
Uno dei punti più importanti di questo Accordo è quello sulla cornice temporale: non c’è più solo una blanda e pericolosa formulazione sul 2050, come nelle prime bozze, quelle che strizzavano l’occhio ai petrolieri dell’Opec, ma l’invito a intervenire nel corso di questo decennio “critico”, come chiesto dalla comunità scientifica per non sprecare l’ultima finestra di opportunità per contenere la crisi climatica entro limiti gestibili.
Il testo riconosce che per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C senza alcun superamento o con un superamento limitato, servono riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni globali di gas serra: del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto al livello del 2019, raggiungendo così lo zero netto di emissioni di anidride carbonica entro il 2050. Altro punto chiave del testo è il riconoscimento della necessità di triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e di raddoppiare il tasso medio globale annuale dei miglioramenti dell’efficienza energetica entro il 2030.
Va ricordato che in queste conferenze gli impegni non sono vincolanti, ma una semplice dichiarazione di intenti dei Paesi che partecipano a COP 28, da perseguire su base volontaria, dato che il testo sul Global Stocktake, il bilancio globale, si limita ad invitare le parti a una serie di azioni. Invitare, non altro. Non ci sono obblighi.
E in ogni caso l’aggiornamento degli obiettivi e cioè degli NDC, gli impegni volontari nazionali, sarà fatto solo nel 2025. Quindi, con calma. Ma almeno una strada è tracciata e se il valore legale del testo è scarso, quello politico è immenso.
La notizia di un patto stretto, di fronte all’opinione pubblica del mondo, per l’abbandono dei combustibili arriverà sulle scrivanie di amministratori delegati, funzionari, leader di ogni nazione, creando una pressione che andrà a frenare lo sviluppo di gas, carbone e petrolio, oggi incompatibili con gli obiettivi climatici.
“A prova di futuro”, è così che in questa COP28, i grandi della Terra hanno deciso di reinventare il ventunesimo secolo, il secolo del cambiamento climatico. Con la consapevolezza che essere “a prova di futuro” significa avere una visione di lungo termine e la responsabilità di agire per i diritti delle future generazioni.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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