Quella della famiglia Calò è una storia a lieto fine che quasi stride con i tempi che stiamo vivendo.
Antonio Silvio Calò, 59enne, è un professore di storia e filosofia, vive a Treviso insieme a sua moglie Nicoletta. La loro è una famiglia numerosa: hanno quattro figli. Ma, come spesso succede, più si è in tanti più si è protesi ad aprirsi agli altri. Nel 2015 la famiglia Calò ha aperto le porte della sua casa, dando accoglienza a sei profughi. In quell’anno ne erano sbarcati migliaia e migliaia sulle nostre coste.
Antonio e Nicoletta non si sono fatti persuadere dagli slogan politici, e hanno deciso di agire nel modo a loro più congeniale: facendosi guidare dal cuore. Motivo per cui Calò è stato insignito non solo dell’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana “per l’esempio di civiltà e l’umanità che ha fornito aprendo la sua casa a sei giovani profughi giunti a Treviso dopo essere sbarcati a Lampedusa”, ma anche del Premio “Cittadino Europeo per l’anno 2018”.
Hanno così accolto sei ragazzi africani, provenienti da diversi Paesi: Gambia, Guinea Bissau, Ghana e Costa d’Avorio. Erano ragazzi dai 23 ai 34 anni, con passati diversi, che hanno imparato a conoscersi, a conoscere la famiglia Calò, e ad integrarsi nella comunità di Treviso. In questi quattro anni questi giovani hanno imparato l’italiano, hanno intrapreso dei tirocini professionali. Alcuni di loro hanno poi avuto un posto di lavoro dalle stesse aziende, del settore della ristorazione o dell’edilizia, in cui avevano svolto un percorso formativo.
Antonio e Nicoletta non si sono mai nascosti, hanno annunciato sui Social l’inizio del loro progetto di accoglienza. Hanno reso partecipe la loro comunità virtuale del percorso di integrazione, studio, formazione professionale seguito dai ragazzi.
E non poteva che affidarsi a Facebook, il professor Calò, per fare l’annuncio forse più atteso. «Oggi è un giorno speciale per la nostra famiglia, perché i nostri figli neri escono da casa Calò», ha scritto sul suo profilo il giorno dell’Epifania. «Ciascuno di loro ha trovato una propria casa ed un lavoro. Nel 2015 abbiamo aperto le nostre porte – ha continuato – sono stati quattro anni difficili e intensi, ma la nostra storia dimostra che l’accoglienza e l’integrazione si possono fare davvero».
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