Ho contratto, attraverso i decenni, una forma grave di allergia al Natale. Le strade, i negozi, si riempiono di un nervosismo diverso dal solito inquieto sgomitare: è una sorta di coazione a regalare, un vero ossimoro, dato che la forza simbolica del dono è proprio nella sorpresa e nella gratuità, in quel prezioso abitare – almeno per un giorno – il regno del superfluo.
A Natale i regali diventano necessari e andare ad acquistarli, impacchettarli, dedicarli, assume la forma consueta e pesante del lavoro. Destinatari del regalo natalizio non sono soltanto le persone che davvero ti sono care, la cui gioia ti sta istintivamente a cuore, i tuoi figli, il tuo compagno, tua moglie, tuo marito, l’amica più vicina, i nipotini e le nipotine, ci sono i regali di dovere, i regali di scambio, i penosi “oddio e che cosa faccio a tua zia”, i regali “perché lei a me lo fa e allora devo farlo anch’io”. In breve: un incubo. E quest’anno, aggravante massima, ci sono pochi soldi. Pochissimi. Mi direte che ce n’erano pochi anche l’anno scorso, e questo è vero, ma quest’anno abbiamo due guerre addosso, non soltanto una, quella russo-ucraina come l’anno scorso. Abbiamo passato le nostre serate a contare morti bambini, a centinaia, dal 7 ottobre di quest’anno che volge al termine in avanti. Abbiamo pianto e parlato, ci siamo sentiti impotenti e disgustati dai circuiti dell’odio, abbiamo ascoltato le parole del Papa e abbiamo sperato che il mondo reagisse imponendo la pace. Non è successo, non fino a questo momento, mentre sto scrivendo.
Il più diffuso commento viriloide dei guerrafondai è stato: “Il Papa fa il Papa, proporre la pace è il suo mestiere”.
Abbiamo resistito al desiderio di picchiarli, proprio perché siamo pacifisti. Ma mi chiedo e vi chiedo: con che spirito andremo, o stiamo andando, a comprare i regali di Natale? L’instabilità mondiale induce al risparmio, è vero. Ma non è soltanto questo: lo spettacolo dei bombardamenti, della distruzione, dei corpi estratti dalle macerie impedisce quella specie di letizia coatta che sempre circonda il Natale. Noi, che di anni ne abbiamo “cinquanta e più”, anche parecchi “più”, avremmo una gran voglia di astenerci. Ma probabilmente non lo faremo. Riempiremo di nuovi giocattoli i nostri nipotini che hanno già sei cestoni pieni di giochi. E poi incominceremo a battere le strade centrali della città in cui viviamo alla ricerca di un pullover, di una sciarpa, di una coppia di calzini. I negozi del lusso, qui a Roma, con le loro diafane commesse dal profilo orgoglioso, accoglieranno qualche signora cinese o coreana o giapponese. I negozi medi saranno svuotati dagli acquisti online: niente centro intasato, niente sovrapprezzi, niente multe per divieto di sosta. Catene a basso costo e i mercatini dell’usato vivranno il loro momento di gloria: un pullover non può costare come un cappotto, no? E pazienza se non è meraviglioso: quello che conta è il pensiero. Certo, infatti a Natale tocca, più che mai, censurare i ragionamenti.
Quante volte l’avete sentita la frase “ti ho fatto un pensierino”, una “sciocchezzuola”, un “niente di che”? Il pensierino è straordinariamente modesto e voi capite benissimo perché (la poveraccia ha dovuto comprare 97 regalini mentre vuole davvero bene soltanto a tre persone), però vi scoccia comunque.
Allora, quest’anno più che mai, l’imperativo è: regalate libri. Non soltanto perché costano 14-18-20 euro e non infeltriscono al terzo lavaggio, ma anche perché sono – ancora e nonostante il ritualismo natalizio – veri gesti d’amore. Momenti di attenzione. Regalare il libro giusto alla persona giusta (alla persona che ne ha bisogno oppure alla persona che è in grado di coglierne lo spessore, la qualità, l’incanto) riveste ancora il fascino del piccolo sforzo per nutrire la relazione fra esseri umani. E allora il nevrotico e consumistico Natale diventa occasione di reciproco affettuoso nutrimento e fa bene all’anima. Lo so, volete dei consigli, da me che mi campo da quasi 50 anni scrivendo romanzi e al dolce sapore della letteratura deve buona parte della sua serenità senile. Avete ragione, se qualcosa di utile posso fare è proprio questo, consigliarvi il libro giusto per ciascuno dei profili che saranno accovacciati con voi intorno all’albero di Natale. Per figli o nipoti adolescenti, consiglio un long seller regolarmente ristampato da Einaudi: i Nove racconti di J.D.Salinger sono usciti la prima volta a metà del secolo scorso, ma danno voce e anima ai più giovani come pochi altri hanno saputo fare. Per chi vuole capire il presente attraverso la storia di una straordinaria “ragazza docile e spavalda”, consiglio L’ospite della californiana Emma Cline. Per chi non vuole capire ma dovrebbe (zii, fratelli, padri, mariti), Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa di Michela Marzano, per indagare che cosa cova sotto la superficiale ribellione del “MeToo”: millenni di disparità, di parità negata, di senso di inferiorità indotto. Non mi resta spazio. Peccato, ne avevo altri. I libri parlano per noi, regalarli è come iniziare una conversazione.
Lidia Ravera è nata a Torino. Giornalista, sceneggiatrice e scrittrice, ha pubblicato trenta opere di narrativa tra cui “Porci con le ali” (Bompiani 1976), “Sorelle” (Rizzoli 1994), “L’eterna ragazza” (Rizzoli 2006), “La guerra dei figli” (Garzanti 2009) e “A Stromboli” (Laterza 2010). Gli ultimi romanzi “Piangi pure”, “Gli scaduti”, “Il terzo tempo”, “Avanti, parla” sono nel catalogo Bompiani. Ha lavorato per il cinema, il teatro e la televisione.
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