Una ricerca effettuata dalla Stanford University School of Medicine ha individuato i meccanismi biologici alla base dell’invecchiamento
di Carlo Penguin
Quante volte c’è capitato di incontrare una persona che non vedevamo da tanto tempo, magari un vecchio compagno di scuola ed esclamare: «Non sei cambiato affatto!». Poche rughe rispetto a quelle che ci saremmo aspettati, quasi che il tempo gli fosse scivolato addosso, cambiando il suo aspetto quel tanto che basta a farlo sembrare solo più maturo.
Ma perché ci sono delle persone che hanno superato gli “anta” già da un bel po’ di anni, eppure ne dimostrano molti di meno, e chi, invece, sembra che giovane non lo sia mai stato? È evidente che non tutti invecchiamo alla stessa maniera: c’è chi lo fa in modo molto più accelerato e chi pare abbia bevuto alla fonte dell’eterna giovinezza.
Ma qual è il motivo di tanta discrepanza durante il processo d’invecchiamento? A questa domanda hanno provato a rispondere gli scienziati della Stanford University School of Medicine, guidati dal professore di Genetica Michael Snyder.
L’équipe ha osservato per due anni 106 individui sani, di età compresa tra i 29 e i 75 anni, sottoponendoli a controlli continui, analizzando il loro sangue e prelevando campioni biologici, così da registrare i cambiamenti costanti di ogni individuo fino a livello molecolare.
All’esame ha partecipato lo stesso Snyder, che si è sottoposto al monitoraggio come gli altri soggetti. I risultati hanno portato ad individuare una serie di combinazioni a livello molecolare (ageotype) che sono alla base dell’invecchiamento e a prevedere specifiche malattie che incideranno sulla vita futura della persona.
Conoscere quali siano gli ageotypes di un individuo, quindi, significa essere in grado di mettere in campo interventi medici personalizzati, non solo per prevenire l’insorgere di tali malattie, ma anche rallentare l’invecchiamento.
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