L’interrogativo del titolo richiede una risposta, che sia allo stesso tempo realistica e fondata sul piano operativo. Tra i molti esempi di persone che hanno ricominciato a 80 anni sono stato di recente particolarmente colpito della figura di Enzo Bianchi, il monaco che, cacciato da Bose – la sua prima creatura – senza motivazioni credibili, in pochi anni ha ricostruito un’altra realtà, un luogo di accoglienza, di pensiero, di preghiera. La nuova creatura è chiamata “La casa della madia”, un nome che sa di pane. Fratel Enzo dice: «Non volevo diventare un eremita, così abbiamo deciso di ripartire. Ho scelto di seguire le orme di sant’Antonio e ricominciare con un nuovo progetto, proprio come fece lui, a 80 anni». Importante l’affermazione che segue: «Non è una ripetizione di Bose: chi genera un figlio non può rigenerarlo né farlo nascere di nuovo, ogni figlio è unico”. Bianchi, forse senza volerlo, dimostra che il ricominciare la vita a 80 anni non può avvenire sul binario di quella vecchia; deve essere nuova!
Ho preso ad esempio la scelta di Enzo Bianchi per affrontare il tema degli “anni possibili”: anche molto tardi, dopo la chiusura di un’esperienza, di una lunga parte della vita, è sempre possibile ricominciare. Mi riferisco a pensionamenti e a nuove esperienze lavorative, a matrimoni finiti, a fallimenti economici e umani, alle sconfitte dalla vita, ma anche alle luci che si accendono. È possibile ricominciare!
Mi permetto di indicare alcune modalità per rendere vivibile la nuova avventura.
Un primo aspetto riguarda l’impegno a non riprodurre, con qualche piccola modifica, la vita di prima; le copie sono peggio dell’originale e quindi, se l’originale è finito per qualsiasi ragione, non è possibile che la copia funzioni. È sbagliato trovare una nuova compagna o un nuovo compagno che assomiglino a quelli di prima. Dove sarebbe la novità, l’originalità, la sorpresa? Però la nuova vita non deve essere misurata con un bilancino da farmacista; deve essere avviata con coraggio. Enzo Bianchi confida nella Provvidenza; i cittadini che non hanno questa “garanzia” devono affidarsi con entusiasmo allo spirito di avventura, alla curiosità.
Un secondo aspetto riguarda il dovere di cercare nuove soluzioni per la vita di tutti i giorni; se prima amavo la città, negli “anni possibili” che seguono gli 80 devo cercare la campagna. Da vecchi è più facile innamorarsi della natura, delle sue sorprese e delle sue bellezze. La campagna è occasione di movimento, di contatto con luci, odori, rumori completamente diversi; se non li amo è meglio continuare a vivere in città, dove molte cose sono più facili, anche se più banali. La campagna è il contenitore ideale per chi ha voglia di cambiare; li si vivono le stagioni, che sono l’esempio più concreto di un mondo che cambia, nel quale possiamo inserirci.
Un ulteriore aspetto delicato è la ricerca di un altro, di un’altra, singoli o gruppi, con cui condividere la nuova vita. La solitudine non permette di ripartire; è una compagna che stimola ricordi dolorosi, il confronto spesso irrealistico con la vita precedente, che immobilizza quando si vorrebbero aprire nuove strade. Chi è solo non può cambiare a 80 anni, però può cercare di costruire un luogo dove siano più facili le relazioni, gli scambi d’amore. Però senza percorrere avventure senza significato.
A 80 anni è possibile (e spesso utile) cambiare anche i gusti, amare il vino quando si era quasi astemi, non fumare più perché finalmente si capisce quanto fosse dannoso. Bisogna continuare a curarsi della propria salute, però abbandonando quello stile pauroso, guardingo per cui ogni scelta era preceduta da una rigorosa (nevrotica!) analisi del rapporto rischio-beneficio rispetto alla salute. Chi è arrivato a 80 può essere più libero, perché si è già conquistato un pezzo di diritto alla vita e quindi non deve più avere ansie per il resto degli anni. Ogni giorno è un dono, vissuto con lievità e dolcezza, gustando l’amore di chi ci vuol bene, senza gelosie, senza rimpianti.
Così è possibile vivere gli anni possibili; un’impresa alla portata di tutti quelli che non contano i minuti, che non si lamentano continuamente per un dolore, che hanno il coraggio di provare la gioia di nuovi “anni possibili”.
Marco Trabucchi è specialista in psichiatria. Già Professione ordinario di Neuropsicofarmacologia all’Università di Roma “Tor Vergata”, è direttore scientifico del Gruppo di Ricerca Geriatrica di Brescia e direttore del Centro di ricerca sulla demenza. Ricopre anche il ruolo di presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria e della Fondazione Leonardo.
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