Perché questa sfiducia? Lo chiediamo a Nella Converti, presidente Commissione Politiche sociali del Comune di Roma, e a Franca Asciutto, consigliera comunale a Ladispoli
Oltre il 70% degli over 50 non ha fiducia nella capacità della classe politica di fare riforme e di cambiare il Paese. Ad avere meno fiducia sono le persone di età compresa tra i 50 e i 74 anni d’età e i residenti del Nord Italia. Questi dati – insieme ad altri – emergono dall’indagine che il Centro Studi 50&Più ha condotto in collaborazione con Format Research.
Una percentuale che fa il paio con quella sulla rappresentatività: già perché, se il 72,9% del campione non ha fiducia nella politica, oltre il 77% non si sente rappresentato dalla classe dirigente. Dati che si possono tradurre così: quasi otto italiani su dieci non si sentono rappresentati dalla politica. E in questo perimetro così ampio, rientrano coloro che si sentono poco rappresentati (44,1%) e coloro che non si sentono per nulla rappresentati (33,7%). Le cause di questo ‘disinnamoramento’ nei confronti della politica potrebbero leggersi con riferimenti espliciti ai politici, indipendentemente dal partito a cui essi appartengono. Ed ecco che per meno del 40% degli intervistati i politici sono competenti. Su questa espressione infatti ‘I politici sono competenti, sono portatori di sapere tecnico’ è d’accordo solo il 38,5%. Percentuali simili – che oscillano tra il 36% e il 37% – rappresentano chi sostiene che i politici del nostro Paese sono buoni amministratori, all’altezza dei compiti che i cittadini gli assegnano e mantengono le promesse. Severo è il giudizio degli italiani intervistati sui temi che animano il dibattito pubblico. In media solo il 24,6% si dichiara soddisfatto rispetto ad alcuni ambiti: in buona sostanza, l’indice di soddisfazione è inversamente proporzionale all’importanza del tema.
Proviamo a disegnare un quadro nitido avvalendoci di esempi. Per l’86,1% del campione è prioritaria l’assistenza sanitaria e la soddisfazione rispetto a questo si attesta su poco più del 30%. In ordine di importanza, gli altri ambiti del dibattito pubblico riguardano la sicurezza pubblica e la lotta alla criminalità con l’85,2% e una percentuale di soddisfazione inferiore al 30%; a pari punti troviamo, invece, la scuola e l’istruzione e lo snellimento della burocrazia. Nel primo caso, con una soddisfazione intorno al 27%, nel secondo caso poco più del 12%. Seguono l’efficienza delle infrastrutture, la riduzione dei costi della Pubblica Amministrazione, la meritocrazia. Gli ambiti per cui gli intervistati esprimono maggiore soddisfazione sono i valori familiari (36,1%), i trasporti pubblici (33,4%), la tutela della diversità e delle minoranze (32,6%).
Se si chiede una classifica, i temi indicati più importanti sono: la riduzione della pressione fiscale, il calo demografico e, appunto, i valori famigliari. Con un picco del 48,3% e – di contro – un 22,4%, nel mezzo troviamo: lotta alla evasione fiscale (37%), attenzione nei confronti della sostenibilità (36,3%), gender gap (36%), educazione sentimentale, sessuale e affettiva (34,5%), scuola e istruzione (33,2%) e ancora efficienza delle infrastrutture (29,3%), trasporti pubblici (27,9%), efficienza della giustizia civile (27,7%), mobilità sociale (25,8%), snellimento della burocrazia (25,5%). E, infine, tutela della diversità e delle minoranze (24,7%), sicurezza pubblica e lotta alla criminalità (24,4%), meritocrazia (23,2%) e riduzione costi della Pubblica Amministrazione (22,4%).
Non è un quadro ottimistico quello che emerge dall’indagine. E ne è la riprova il fatto che per un intervistato su due la politica, nel suo complesso, è peggiorata rispetto a dieci anni fa. A sostenerlo è il 49,2% del campione, solo per il 12,2% la situazione è migliorata. Nel mezzo, poi, una percentuale pari al 38,6 che ritiene la politica invariata: non risulta difficile, pertanto, pensare che chi appartiene a questa percentuale – proprio perché non si esprime sul miglioramento – possa convergere sulla percentuale dei delusi.
Eppure, in questo scenario non propriamente idilliaco, l’80,2% degli intervistati ritiene importante andare a votare. A non ritenerlo importante è solo il 17,6%. Nel dettaglio, è ‘molto importante’ andare a votare per il 52,4% del campione over 50, è ‘abbastanza importante’ per il 27,8% e, ancora, è ‘poco importante’ per il 10,2%, ‘per nulla importante’ per il 7,4%. A questa domanda un significativo 2,2% non ha risposto. E come sarebbe la percentuale se si andasse a votare oggi? È presto detto: si recherebbe alle urne il 79,1% degli intervistati. Non andrebbe a votare poco più del 7% e poco più del 13% non sa cosa farebbe. Quali sono, dunque, le motivazioni che spingono gli over50 raggiunti dall’indagine a votare oggi? In cima alla classifica, con un 67,4% c’è questa motivazione: esercitare un diritto. Seguono ‘esprimere la mia preferenza politica’ con un 40,8%; per ‘supporti ai candidati che più rappresentano i miei interessi’ (39,7%) e ancora ‘per contribuire a migliorare la società’ (32,1%), ‘contrastare una politica che non mi è affine e per fornire un segnale di dissenso’ (27,7%) e con un 26,1% ‘per dare un segnale di cambiamento’. Tuttavia, in quel 7,4% che non andrebbe a votare i disillusi dalla politica sono molti, oltre la metà (52,9%). Chi non andrebbe a votare lo farebbe sicuramente perché è disilluso, dicevamo, e anche perché non simpatizza per nessun partito, perché in disaccordo con il sistema politico (46,5%), perché non crede che votare serva a qualcosa (44,3%), non è informato sulla politica, sui candidati e sui movimenti (5,1%), perché è impossibilitato a farlo (3,5%).
Dalla nostra indagine, i partiti politici sono all’ultimo posto nella classifica di gradimento degli over 50. Perché? Lo abbiamo chiesto a due elette, rispettivamente Nella Converti, presidente della commissione politiche sociali del Comune di Roma (Partito Democratico) e Franca Asciutto, consigliera del Comune di Ladispoli, città del litorale laziale (Fratelli d’Italia).
Converti, perché gli italiani non hanno fiducia nei partiti politici?
«Per una totale assenza di radicalità e di idee chiare. Oggi, invece che il partito, va avanti il leader di turno. Il partito – che dovrebbe essere la struttura portante – ha ormai poco peso purtroppo e questo ci fa perdere le nostre origini e l’indirizzo politico. Oltre questo va detto che manca la politica di territorio, quella più importante perché la piccola sezione o i rappresentanti territoriali – se riconosciuti – vengono identificati con il partito. L’assenza totale di strutture ha fatto sì che la fiducia nei partiti sia praticamente nulla e ciò causa anche una serie di conseguenze. Nonostante io sia una persona molto radicata sul territorio – ho preso le mie preferenze particolarmente nelle periferie e su alcune tematiche – le persone mi identificano comunque con il partito e spesso mi sento dire Eh però il Pd…. Credo che il sentimento emerso dalla vostra indagine si traduca anche così. Il senso di sfiducia è molto forte, soprattutto ai margini delle grandi città. Basti pensare che nelle periferie di Roma, a ogni tornata elettorale viene eletto un partito diverso perché la disperazione porta gli elettori a votare per tentativi. Dopo questi dati, al mio partito suggerirei una maggiore radicalità su alcuni temi e un ricambio della classe dirigente».
Se da un lato ci sono i cittadini e gli elettori delusi dalle istituzioni, dall’altro, dunque, ci sono i politici che – dal canto loro – devono favorire la ricostruzione del rapporto.
Asciutto, cosa dovrebbero fare i politici per avvicinare i cittadini?
«Coinvolgerli, prima di tutto, nelle scelte dell’amministrazione e mettere in atto la ‘politica partecipata’. Perché non va mai dimenticato che siamo noi politici ad essere al servizio del cittadino. Non viviamo in uno stato autoritario e, pertanto, dobbiamo mettere in campo ogni azione possibile per facilitare la loro vita, a partire dallo snellimento della burocrazia. Anche prenotare un appuntamento in Comune per una persona che non sa utilizzare la piattaforma digitale può diventare difficile e questo comporta l’allontanamento dei cittadini della vita politica del posto in cui abitano, creando non poco disagio. Che cosa dovrebbero fare nel concreto gli amministratori? Aprire le porte dei loro uffici. Io l’ho fatto anche recentemente quando ho lavorato alla realizzazione del PEBA (Piano Urbanistico Eliminazione delle Barriere Architettoniche), coinvolgendo i cittadini destinatari del progetto perché è centrale nella stesura di un piano come questo la partecipazione di chi vive la disabilità che bene conosce il territorio e le sue difficoltà da abbattere. Ho voluto ascoltare i cittadini e con loro lavorare».
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