Monarchia e Repubblica nel Referendum che apre una nuova fase della storia d’Italia. Ma la strada verso la parità di genere in politica è tutt’altro che compiuta.
Sono passati 75 anni da quando in italia le donne hanno conquistato il diritto di voto. Il 30 gennaio del 1945, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi, si decise di affrontare il tema in Consiglio dei Ministri, e il giorno seguente fu emanato il decreto con il quale si dava il via libera al suffragio femminile, per le cittadine dai 21 anni in poi. Per l’eleggibilità a una carica politica, le donne avrebbero invece atteso un altro anno, fino al decreto del 10 marzo 1946.
L’appuntamento alle urne fu quello del 2 giugno del 1946, in occasione del Referendum istituzionale che portò gli italiani a scegliere fra monarchia e repubblica anche se, in alcuni comuni, le donne avevano già votato nello stesso anno alle amministrative e, per la prima volta nella storia del nostro Paese, erano state elette alla carica di sindaco Ada Natali a Massa Fermana, in provincia di Fermo, e Ninetta Bartoli a Borutta, in provincia di Sassari.
Il voto fu un traguardo conquistato dopo un lungo percorso di lotta intrapreso dalle donne già alla fine dell’Ottocento, in seguito quasi cancellato dalla memoria storica con l’avvento del regime fascista. Eppure, quelle donne che avevano aperto un dibattito sulla parità di genere e che si autodefinivano femministe, ebbero un ruolo fondamentale in un percorso di conquista dei diritti, a partire dalla liberazione dall’autorità maritale, che all’epoca accordava solo agli uomini la tutela dei figli e la possibilità di gestire il patrimonio delle proprie mogli o della famiglia. Un percorso che non si è ancora concluso, 75 anni e tante battaglie vinte dopo.
C’è un dato interessante che riguarda l’affluenza al voto e che, dal 1946 ad oggi, ha messo in luce una progressiva disaffezione degli italiani alle urne, e delle donne in particolare.
Se fino al 1976 la partecipazione alle elezioni non è mai scesa al di sotto del 92%, a partire dal 1976 ha cominciato a calare: nel 1979 le donne che non vanno a votare sono il 9,9%, gli uomini l’8,8%. Nel 2001 l’astensionismo femminile raggiunge il 19,8%, quello maschile il 17,2%. Alle politiche del 2006 non vota il 17,2% delle donne e il 14% degli uomini, con differenze sempre più marcate in base all’età: fra gli over 75, le donne che non si recano alle urne sono circa il doppio degli uomini.
Oggi, nel 2020, le donne in Italia occupano ancora solo un terzo delle cariche politiche nazionali, nonostante rappresentino oltre la metà della popolazione. I primi tentativi di aumentare la partecipazione politica al femminile sono stati implementati nel 1993, con l’introduzione delle quote di genere nelle elezioni locali e nazionali. Nel 2003 si arriva anche a una legge costituzionale che esplicita il dovere di promuovere, con appositi provvedimenti, le pari opportunità tra donne e uomini, riconoscendo ostacoli sociali e strutturali che impediscono un accesso alle cariche politiche indipendentemente dal genere.
In politica: le donne sono ancora un terzo
Nel 1994 la rappresentanza politica femminile era del 13%. Oggi si è passati ad un 36%, ma le donne italiane occupano ancora un terzo delle cariche politiche nazionali, malgrado rappresentino più della metà della popolazione.
Se è vero che la rappresentanza femminile è aumentata, basti pensare che era del 13% nel 1994 e oggi è passata al 36%, è altrettanto evidente che l’assegnazione di una carica alla presidenza di Camera e Senato o alla guida di un Ministero restano ancora un’eccezione, in un panorama che resta appannaggio maschile, senza sostanziali variazioni negli ultimi 25 anni. Senza contare che in Italia non abbiamo mai avuto una donna alla Presidenza del Consiglio, come invece è accaduto in Belgio, Danimarca, Finlandia e Germania.
Alte cariche: una strada tutta in salita
L’assegnazione di una carica alla presidenza di Camera e Senato o alla guida di un Ministero sono per una donna ancora un’eccezione, in un panorama che resta appannaggio maschile.
Nelle istituzioni locali la situazione è leggermente migliore, e l’inclusione delle donne è aumentata nettamente, passando dal 6,5% delle amministratrici nel 1989 al 33% di oggi.
Secondo un recente sondaggio Emg, realizzato fra il 28 febbraio e il 4 marzo dell’anno in corso su un campione di mille persone, il rapporto con la politica per le donne si rivela molto difficile: otto su dieci sono le giovani che hanno dichiarato di sentirsi penalizzate per l’impegno politico, a causa degli atteggiamenti maschilisti e discriminatori che hanno ritrovato anche all’interno dei partiti.
Non solo, dunque, il problema di coniugare impegni familiari e vita pubblica, ma una difficoltà ad essere parte di mondi ancora oggi, nel 2020, considerati da tanti appannaggio degli uomini.
L’emergenza Covid ha confermato la tendenza alla mancata parità di genere: secondo i dati raccolti da Openpolis, nei ruoli della catena di comando sia locale sia nazionale le donne sono solo il 20%, e negli incarichi chiave di Protezione Civile e Ministero della Salute la presenza femminile scompare completamente. Insomma, la strada è ancora lunga, seppure leggermente in discesa.
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