Sono sopravvissuti per 40 giorni nella giungla i quattro bambini superstiti di un incidente aereo in cui hanno perso la madre. Secondo i media colombiani ad aiutarli sarebbero stati gli insegnamenti della nonna e degli anziani indigeni della loro comunità.
“Tra le palme lungo la spiaggia, all’incirca a un centinaio di metri di distanza, era apparso un bambino. Era un ragazzino di forse sei anni, biondo e robusto, i vestiti laceri, la faccia tutta impiastricciata di frutta. […] Dalla terrazza di palme balzò giù nella sabbia e i calzoni gli franarono alle caviglie; ne sgusciò fuori e trotterellò verso la piattaforma. […] Si udirono voci, grida provenienti dalla foresta. […] Ora, sulla spiaggia, si intravedevano segni di vita. La sabbia, tremolante sotto la cortina dell’arsura, dissimulava numerose figure per chilometri; attraverso quella sabbia calda, muta, dei ragazzi si stavano facendo strada verso la piattaforma”.
Sono alcune righe estrapolate dalle prime pagine de “Il signore delle mosche”, romanzo del 1954 dello scrittore britannico William Golding. Un libro che spesso viene consigliato agli studenti tra le letture estive perché proprio di studenti parla. La storia, infatti, vede protagonisti un gruppo di ragazzini divenuti naufraghi su un’isola deserta in seguito ad un disastro aereo e racchiude in sé vari messaggi, tra cui una riflessione sull’aspetto ancestrale della natura umana. È a questo libro che viene da pensare leggendo e ascoltando una tragica – e al contempo miracolosa – notizia degli ultimi giorni. Ma se quella di Golding era una storia inventata, scritta per portare a una riflessione, quella dei quattro bambini sopravvissuti 40 giorni nella giungla colombiana in seguito a un disastro aereo purtroppo non lo è.
40 giorni nella giungla: l’inizio della tragedia
La vicenda inizia lo scorso primo maggio quando Lesly Jacobombaire Mucutuy (13 anni), Soleiny Jacobombaire Mucutuy (9), Tien Ranoque Mucutuy (5) e Cristin Ranoque Mucutuy (1) salgono, insieme alla madre, a bordo di un piccolo aereo che avrebbe viaggiato dal centro abitato di Araracuara, nel sud-est della Colombia, a San José del Guaviare, nel centro del paese. Sul velivolo c’erano anche il capo della loro comunità indigena e il pilota. L’aereo, giunto circa a metà del percorso, avrebbe rilevato un’avaria del motore precipitando nella foresta pluviale. I rottami, insieme ai corpi dei tre adulti, sono stati ritrovati quindici giorni dopo. Ma dei bambini non c’era traccia. Eppure, resti di frutta mangiata, pannolini e biberon usati e impronte sul terreno hanno subito fatto pensare che fossero ancora vivi.
Le ricerche nella giungla
Sono così iniziate le operazioni di ricerca a cui hanno partecipato centinaia di volontari e membri dell’esercito, perlustrando un’area di 2500 km di giungla. Ma mentre le squadre li cercavano, i quattro bambini guidati da Lesly, la più grande, hanno continuato a spostarsi costruendo ripari di fortuna con rami tenuti insieme grazie a lacci per capelli. Inizialmente, la loro fonte di sostentamento primaria è stata una scorta da 3 kg di farina di manioca ritrovata tra i rottami dell’aereo. Poi hanno cominciato a nutrirsi con frutti selvatici, semi e altre piante. Fino a quando non hanno ritrovato le scorte lasciate nella giungla dai soccorritori apposta per loro.
Henry Guerrero, una persona indigena che ha partecipato alle ricerche, inoltre, ha raccontato ai giornalisti che i bambini avevano con loro anche una torcia elettrica e due cellulari, ma le batterie si erano scaricate in fretta. Dai loro racconti è emerso anche che hanno vegliato la loro mamma, Magdalena, per quattro giorni. “Mi ha detto che la mamma è sopravvissuta quattro giorni”, ha commentato il padre dei bambini, Manuel Roque, riferendosi a Lesly. La famiglia, infatti, era in fuga dai dissidenti delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Magdalena e i suoi quattro bambini erano saliti sull’aereo per ricongiungersi a Manuel, che si era allontanato dopo aver ricevuto minacce di morte.
Il ritrovamento dopo 40 giorni nella giungla
La settimana scorsa, dopo lunghe ricerche, i militari delle forze speciali colombiane hanno avvistato i bambini nella giungla, gridando “miracolo”. La parola in codice, infatti, era stata concordata per indicare il successo dell’operazione di ricerca. Nelle immagini del ritrovamento, girate con un cellulare, si vede un indigeno che culla la piccola Cristin, che ha compiuto un anno mentre era dispersa. Gli altri tre bambini sono in piedi che festeggiano il ritrovamento, ringraziando i soccorritori. Ricostruendo questo momento un membro della squadra di ricerca ha raccontato ai giornalisti: “La figlia maggiore, Lesly, con la piccola in braccio, è corsa verso di me e mi ha detto: ‘Ho fame’. Uno dei due ragazzi era sdraiato. Si è alzato ed ha sussurrato: ‘Mia madre è morta'”. Dopo essere stati soccorsi, i quattro sono stati portati nell’ospedale militare centrale di Bogotá dove rimarranno per almeno altre due settimane.
Il ruolo della nonna in quei 40 giorni nella giungla
Secondo il padre, Manuel Ranoque, e i media colombiani i bambini sarebbero sopravvissuti grazie alle loro origini indigene e al forte legame che hanno con la natura. In particolare, la figura della nonna, con la quale sono cresciuti, avrebbe giocato un ruolo cruciale. I membri della comunità Huitoto, infatti, possiedono una “conoscenza ancestrale” e cominciano a cacciare, pescare e raccogliere frutta e piante fin da piccolissimi. Secondo il nonno, i fratelli più grandi conoscevano molto bene la giungla e la sorella maggiore era in grado di orientarsi in mezzo alla foresta interpretando il modo in cui i raggi del sole passano attraverso gli alberi. Inoltre, le era stato insegnato a nascondersi dagli animali pericolosi e riconoscere i percorsi praticabili da quelli più rischiosi, oltre che a discriminare piante e funghi commestibili. Il suo ruolo si è rivelato cruciale anche nella cura della neonata Cristin. Secondo Sandra Vilardy, viceministro della politica e della normalizzazione ambientale, se i bambini sono riusciti a sopravvivere in una delle foreste più dense e vergini del Paese, è grazie ai “messaggi della propria comunità e alle conoscenze che hanno fornito loro in precedenza”.
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