Ecco i nomi dei quattro vincitori che si sono aggiudicati la Libellula d’Oro grazie alle loro opere. A ricevere l’ambito premio sono stati Giovanni Silonio per la Prosa, Armando Giorgi per la Poesia, Gavina Solinas per la Pittura, Maria De Franceschi per la Fotografia.
Giovanni Silonio – Libellula d’Oro per la Prosa
«Da giovane – racconta – scrivevo canzoni accompagnandomi con la chitarra e la fisarmonica. Poi, con il passare del tempo, mi sono avvicinato alla poesia ed è stato subito un grande amore. Sono arrivato alla scrittura in prosa più tardi, circa 10 anni fa. Questo racconto – spiega – è nato per caso. Stavo passeggiando per i viali della mia città, Vercelli, quando all’improvviso ho scorto uno sfavillio di luci che proveniva da una panchina su cui sedeva un giovane biondo dal giubbotto blu. Sembrava un evento soprannaturale, così ho dato spazio alla fantasia. Spero di comunicare la vera essenza del mio racconto a chi avrà la bontà di leggerlo».
Dopo la maturità classica Giovanni Silonio ha frequentato la facoltà di Lettere all’Università di Torino. Ha lavorato presso la Asl di Vercelli e ora è in pensione. Ha pubblicato un libro di poesie dal titolo “In cammino” nel 1992 e ultimato il secondo dal titolo “Appunti di viaggio”. Ha frequentato un corso di scrittura creativa all’Unipop di Vercelli. Partecipa al Concorso 50&Più per la nona volta: nel 2012 e 2014 ha ricevuto la Menzione speciale della giuria per la Poesia, nel 2013 e 2014 la Menzione speciale della giuria per la Prosa, nel 2015 ha vinto la Farfalla d’oro per la Poesia, nel 2016 ha ricevuto la Segnalazione della giuria sempre per la poesia e nel 2019 ha vinto la Farfalla d’oro per la Prosa. Vive a Vercelli.
La creatività salva e allunga la vita
In un tardo pomeriggio di ottobre Luca passeggiava per i viali della sua città, dopo una giornata alquanto nervosa e problematica, come gli succedeva spesso negli ultimi tempi. Nella sua mente si agitavano i fantasmi di una vita trascorsa con molte incertezze e in modo incompleto. Aveva preso finalmente in mano quel fascicolo, per molto tempo dimenticato, che il padre gli aveva affidato, ma non era riuscito ad iniziare il lavoro con risolutezza. Annebbiato da questi pensieri si era spinto, inavvertitamente, verso la periferia e, ad un tratto, si accorse di trovarsi in un posto mai prima visto. Egli camminava attraverso un lungo viale, costeggiato tutto da una siepe, senza case né ville, né fabbricati di altro genere. Spuntò, come dal nulla, un cancelletto, all’interno della siepe. Dopo averlo aperto si presentò ai suoi occhi un piccolo parco, con quattro panchine di legno addossate ad altrettanti alberi e, in mezzo, uno scivolo per bambini e un’altalena. Stanco per il lungo camminare, si sedette su una delle panchine e, immediatamente, si accorse che sull’altalena aveva preso posto un biondo giovane, con jeans e giubbotto bleu, che si dondolava canticchiando un notissimo salmo, ascoltato in chiesa più volte. Si accorse che quella melodia riusciva a farlo distendere fisicamente e mentalmente, così gli venne voglia di fumare. Trasse fuori dal taschino un sigaro, ma non riuscì a trovare l’accendino. Il desiderio del fumo era diventato così forte che decise di alzarsi e di dirigersi verso l’altalena.
“Giovanotto, la saluto”, disse rivolto a colui che continuava a dondolarsi, “per cortesia mi farebbe accendere?”.
Il volto del giovane, fino ad allora nascosto alla vista, si girò e rivelò tutta la sua bellezza: occhi cerulei, penetranti, e barba appena accennata risaltavano su un viso dalle fattezze raffinate ed eleganti.
“Caro signore, il suo sigaro è già acceso, la saluto anch’io cordialmente”, rispose il giovane. Luca non se ne era accorto, ma il suo sigaro era veramente acceso.
Stupito e un po’ confuso si rivolse di nuovo al suo interlocutore: “È vero, è acceso” e, aspirandone una boccata proseguì: “Ma come ha fatto? Lei sicuramente è una specie di prestigiatore, illusionista, mago, o qualcosa del genere”, concluse.
La risposta non fu conseguenziale. “Ti stavo aspettando!”, furono le parole uscite dalla bocca del biondo giovane dagli occhi azzurri.
Luca si trovò immerso nella più totale confusione, non riusciva a capirci nulla e, girando e rigirando il sigaro fra le dita, era rimasto come pietrificato. Il bel giovane scese allora dall’altalena, avvicinò la bocca all’orecchio destro di Luca e scandì perentoriamente: “Mi chiamo Angelo, sono stato mandato da chi può tutto ciò che vuole, sono venuto a prendere la tua anima”.
Luca arretrò di un passo e disse: “Ho l’impressione – la voce si era fatta dura e tagliente – ho l’impressione che tu ti sia fatto qualche birra di troppo, ragazzo. Mi vuoi prendere in giro? Vuoi burlarti di me ed inculcarmi paura? Hai sbagliato persona. Non penserai mica che io creda ad una sola parola di quello che mi hai riferito”.
Allora Angelo fece qualche passo verso uno dei quattro faggi che ombreggiavano le panchine, ne strappò tre rametti, indi soffiò sopra. Immediatamente i rami e le foglie presero fuoco e, in un attimo incenerirono. Gli innumerevoli frammenti di brace, invece di scendere lentamente verso il basso, si indirizzarono decisamente verso l’alto, andando a formare, all’altezza delle chiome degli alberi, la figura di un otto rovesciato, simbolo dell’infinito. Un fortissimo schiaffo di vento, alzatosi all’improvviso, fece dileguare il tutto.
Luca era ammutolito e nello stesso tempo estasiato. Capiva di trovarsi di fronte a qualcosa di trascendente, ma non voleva cedere all’evidenza. Chinò il capo e riuscì infine a balbettare: “Accidenti… Ci siamo allora… Ma proprio qui, stasera, sulla strada, in periferia, e così presto?”.
“Questo è l’incarico che ho ricevuto. Così è stabilito!”, sentenziò Angelo.
Luca guardò intorno, ma non c’era anima viva. II viale, i lampioni accesi per la sopraggiunta oscurità, e laggiù in fondo, all’incrocio, luci di automobili. Guardò anche il cielo, che era limpido, con tutte le sue stelle al posto giusto. Venere ormai vicina al tramonto, brillava ancora. Finalmente deciso sbottò: “Senti, dammi un mese di tempo, proprio adesso ho preso in mano un lavoro, che devo assolutamente portare a termine. Non ti chiedo che un mese”.
“Se vuoi, il lavoro che devi completare, te lo faccio trovare io già pronto e finito”, replicò il giovane Angelo.
“No, non è lo stesso. Lo devo ultimare io, con fatica, molta fatica e dedizione umana. È una cosa troppo importante per me. Si tratta di dare un senso alla mia vita”.
“E va bene: un mese hai detto? E un mese sarà, non un giorno di più. Ci troviamo qui, alla stessa ora di oggi, fra un mese. E non provare a fare il furbo e a nasconderti in qualche anfratto inaccessibile: io ti posso scovare dappertutto”. Detto ciò, svanì.
Un mese è lungo se si aspetta la persona amata, è brevissimo se chi deve giungere è il messaggero dell’aldilà, più corto di un respiro. Trascorse un mese, e nel giorno stabilito, in un tardo pomeriggio di novembre, Luca si portò sul luogo convenuto. C’era il cancelletto, c’erano le quattro panchine protette dai faggi, c’era lo scivolo e sull’altalena c’era Angelo, sempre vestito di blu. “Sono qui”, esordì Luca, avvicinandosi al giovane messaggero.
“E quel lavoro: terminato?”, replicò l’altro.
“No, no, non è finito. Lasciami ancora un mese! Mi basterà, giuro. Stavolta sono sicuro di riuscirci, credimi. Ci ho dato dentro giorno e notte, e non l’ho ultimato in tempo. Però mi manca poco. Ti prego, dammi ancora una piccola proroga”.
“So che sei sincero”, riprese l’emissario celeste, “ci hai dato dentro veramente e con convinzione, per cui la proroga ti è concessa. Ci troveremo sempre qui, ma per l’ultima volta, fra un mese. Buon lavoro”. E scomparve. Il mese volò più veloce di uno stormo di jet in parata. Mai quattro settimane furono divorate con tanta avidità dal tempo.
E soffiò un vento gelido quel tardo pomeriggio di dicembre in cui tutto doveva compiersi, facendo scricchiolare sotto i piedi le ultime foglie, ancora screziate di vita, lasciate in eredità dall’autunno. Luca aprì il cancelletto e si diresse verso il giovane dalla chioma bionda e dagli occhi celestiali, che era di spalle e stava canticchiando una canzone che a lui piaceva moltissimo, “Imagine” di John Lennon.
“Sono qui”, disse toccandogli una spalla, “eccomi”.
Angelo si girò e rispose: “Finito allora?”.
“Sì”, riprese Luca, “tutto concluso”.
“Hai trovato le risposte che cercavi? Allora vieni. Sei ben disposto al viaggio?”.
“Certamente, era nei patti, ora sono pronto”.
Il messaggero divino sorrise, guardò in alto e fece alzare un turbine che avvolse di foglie entrambi come in una veste sicura per un lungo tragitto. Ma il vento si placò in fretta, le foglie tornarono a terra silenziose e Angelo incominciò a parlare: “Eccoci arrivati”.
“Ma siamo ancora sulla terra, nel luogo di partenza”, borbottò Luca.
“Sì, puoi andare, caro amico, non abbiamo più bisogno di te”.
“Allora sono libero, cioè sono vivo! Ma allora perché tutta questa messa in scena?”.
Il giovane emissario del cielo ricominciò a parlare e a spiegare. “Tu nella vita, non sei riuscito a portare a compimento molte cose, in modo particolare l’università, lasciata a due esami dalla laurea, e il matrimonio, rifiutato a tre mesi dalle nozze, due traguardi a cui tuo padre e tua madre tenevano in maniera speciale. Ma c’era una terza meta che tuo padre sperava che tu potessi raggiungere: ti aveva lasciato una quantità enorme di appunti, raccolti durante la sua vita, con l’invito di riordinarli e dare loro una veste definitiva, in poche parole ti aveva pregato di scrivere il grande romanzo d’amore fra lui e tua madre, contenuto in tutti quei foglietti sparsi, conoscendo quanto eri bravo nello scrivere. Ed è tutto ciò che sei riuscito finalmente a completare. Vedi, se noi non ci fossimo comportati così, tu non avresti mai terminato l’opera affidata a te dai tuoi genitori. E noi siamo intervenuti perché tu hai dimostrato, durante tutta la vita, di essere “un’anima bella”, cioè per nulla attaccata al possesso dei beni materiali, condizione unica e indispensabile per dar espressione e concretezza alle tue notevoli potenzialità di scrittore: te la meritavi la nostra mediazione. Ricordati sempre di questo concetto: scrivere, comporre musica, dipingere, scolpire, in una parola “essere creativi” avvicina a Dio, perché si diventa collaboratori e prosecutori dell’opera della creazione. L’arte diventa rivelazione di una scintilla divina tra le nostre mani. Nel tuo caso scrivere ti ha salvato e allungato la vita, facendoti finalmente provare il gusto della creatività e della conclusione di un progetto importante”.
“Sì, hai ragione”, argomentò Luca, “Tu non sai, anzi lo sai perché sei una creatura soprannaturale, tu conosci perfettamente la gioia che ho provato e che provavo man mano che procedevo nella stesura del mio primo romanzo: il romanzo del grande amore fra Olga e Carlo, peripezie ed avventure. Ho assaporato sensazioni ed emozioni uniche, e, ora che ci penso, mi sono sentito vicino, sempre più vicino al cielo, con il cuore che batteva forte. Grazie per essere intervenuto, grazie a te e a chi sta lassù”.
“Ora ti devo lasciare per sempre, ma sono sicuro che la lezione l’hai imparata – riprese Angelo -, che non lascerai più le cose a metà, che lotterai per far rimanere sempre accesa e per alimentare quella fiammella di inventiva che ogni persona possiede. È la fiammella dell’eternità, la fiammella che avvicina a Dio. E ricordalo per sempre: Scrivere, dar espressione alla propria creatività, salva ed allunga la vita. Ciao”. Dopo aver pronunciato queste parole, scomparve, accompagnato da uno stacco d’organo e violini.
Luca era raggiante, felice, gli pareva che la vita, cominciasse ad aver un senso solo da quel momento, a 62 anni. Si guardò intorno: le quattro panchine con i faggi erano sparite, così anche il cancelletto, lo scivolo e l’altalena. Era rimasta solo la notte, rischiarata da una miriade di stelle, e da mamma luna. Da un cespuglio s’affacciò un grazioso leprotto, si diresse verso di lui, fece tre giri intorno ai suoi piedi, si fermò, lo guardò… e poi riprese la sua corsa verso l’ignoto. ln fondo al viale, intorno alla rotonda, un andirivieni di automobili. La vita continuava a scorrere, non aveva mai cessato di pulsare.
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Armando Giorgi – Libellula d’Oro per la Poesia
L’amore per la poesia dura da almeno 40 anni. «Ho iniziato a scrivere poesie sin dal 1980 e continuo a farlo». Dice Armando Giorgi, 91 anni, che, accanto alle opere in versi, ama scrivere anche in prosa. «Con questa poesia – spiega – ho voluto raccontare due estremi: la differenza di un luogo che si ama e si conosce, la montagna, e quello che è al di là di essa, il mare. Un ambiente completamente diverso rispetto a quello più rassicurante in cui si vive. Eppure, agognato». È il desiderio di conoscere, di vedere cosa c’è oltre a quelle montagne. È il fascino dell’ignoto. E se è in una nuova dimensione e realtà che la vita prosegue, allora dovrà essere una “Camera con vista al mare”.
Armando Giorgi è nato a Genova, dove vive. Ha lavorato come macchinista alle Ferrovie dello Stato, ora è in pensione. Ha vinto numerosi premi nazionali e internazionali di poesia e narrativa e ha pubblicato 34 volumi tra romanzi e poesie. È Cavaliere della Repubblica. Al Concorso 50&Più nel 2007 ha vinto la Farfalla d’Oro per la Poesia, nel 2008 e 2013 la Libellula d’Oro per la Poesia, nel 2009, 2011 e 2015 la Segnalazione della giuria sempre per la Poesia e nel 2013 la Menzione speciale della giuria per la Prosa.
Camera con vista al mare
Il mio paese è una parrucca di neve,
indossata dalla montagna.
Quando il freddo accende stufe,
alita fumosi capelli neri.
Potrei scalare, nel calendario di giorni,
altri incontri, affamato dagli abbracci.
È così, cara, ti descrivo questo gelo,
come significato di lontananza.
Appena tolgo neve dai vetri,
la trasparenza dei tuoi occhi,
pettina spazi di immagini.
Quando stagioni contorneranno
paesaggi di sole, respirerò attese.
Chiarezze d’echi “ritorni?!”.
Non evaderò da queste cime,
per indossare cappotti firmati.
Chiedermi se sono l’uomo dalle caviglie
adatte a camminare tra viali alberati,
tarlati dallo smog, con la mia stagione arrugginita.
Ti avviserò!
Se entrerò nel circuito del tuo amore,
prenotami una camera, con vista al mare.
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Gavina Solinas – Libellula d’Oro per la Pittura
«Mi dedico alla pittura sin da quando sono in pensione – racconta – ma ho sempre amato il disegno». Il quadro rappresenta un luogo reale di Alghero, molto affascinante. «Il titolo del quadro …dalla Escala del Cabirol è in lingua catalana - spiega – che tradotto in italiano significa Dalla gradinata del capriolo. Rappresenta un tramonto di settembre con la sua profondità ed i suoi colori, sempre molto apprezzato anche dai turisti». La Escala del Cabirol, detta così per il suo inerpicarsi sul promontorio di Capo Caccia, è costituita da ben 654 gradini che conducono a uno straordinario ambiente carsico, la Grotta di Nettuno.
Dopo gli studi universitari a Pisa e Cagliari, Gavina Solinas ha insegnato Lettere e Storia dell’Arte nei licei classici e nelle scuole medie. Autodidatta nel disegno e nella pittura, ha partecipato a diverse mostre collettive ottenendo lusinghieri riconoscimenti. Partecipa al Concorso 50&Più per la quinta volta; nel 2018 ha vinto la Farfalla d’Oro per la Pittura. Vive a Sassari.
…dalla Escala del Cabirol (Alghero)
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Maria De Franceschi – Libellula d’Oro per la Fotografia
«Ho 74 anni e amo il giardinaggio, la cura dell’orto e la fotografia. La passione per la fotografia è nata quando a 17 anni ho ricevuto in regalo per il mio compleanno la mia prima macchina fotografica», racconta. Ma come è nata la fotografia vincitrice del Premio Libellula? «La fotografia con la quale ho partecipato a questa edizione del Concorso è stata scattata a Tropea. Camminavo in riva al mare – spiega – quando sono stata colpita dai disegni che la risacca faceva sulla spiaggia: era una risacca diversa dal solito. Gli spruzzi bianchi si mescolavano con il mare azzurro. Uno scenario che ha colpito profondamente la mia fantasia e così ho scattato».
Appassionata di fotografia fin dall’adolescenza, Maria De Franceschi si dedica al ritratto e ai reportage di viaggio. Al Concorso 50&Più del 2010 ha ricevuto la Farfalla d’Oro per la Fotografia. Vive a Vicenza.
Risacca
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