La Festa della Liberazione ci ricorda il valore della democrazia e di chi, in quei giorni, ha scelto un futuro diverso per il nostro Paese.
Come si legge nel Regio Decreto firmato da Umberto II il 22 aprile 1946, furono i partiti della nuova Italia democratica a proclamare il 25 aprile – giorno dell’insurrezione di Milano – festa nazionale. Un atto voluto “a celebrazione della totale liberazione del territorio italiano”. Quegli stessi partiti, l’anno seguente, parteciparono uniti ai primi festeggiamenti. Ma quel senso di condivisione non durò molto: presto iniziarono le prime dispute sui meriti e sui contribuiti alla svolta politica. E così, quasi da subito, quel giorno passò da momento di unità a motivo di divisione.
Un ideale di libertà
La metà del ‘900 segna in Italia uno spartiacque tra gli anni che dopo la Grande Guerra portarono alla nascita del totalitarismo e alla successiva ricostruzione del Paese. In mezzo, una guerra spietata tra fascisti, antifascisti, l’esercito tedesco in ritirata e gli Alleati che stavano avanzando.
A 77 anni dalla Liberazione pochi dei testimoni oculari sono ancora qui per raccontare le emozioni e le storie di un’intera generazione, che intreccia memoria autobiografica e memoria collettiva. Quei ragazzi del ’45 si ritrovarono ad un bivio affrontando non solo le armi nemiche, ma spesso anche una dolorosa lacerazione all’interno delle proprie famiglie. E alla fine combatterono sotto un’unica bandiera e per un solo ideale: la libertà.
Fare i conti col passato
Al termine della guerra tutto il materiale orale, tutto il racconto di quelle giornate, fu messo su carta da Einaudi che nel 1952 pubblicò Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. E dal racconto si passò alla Storia. Ma di guerra fratricida per la prima volta si parlò solo nel 1991, quando uscì il saggio “revisionista” dello storico Claudio Pavone, intitolato appunto Una guerra civile. L’Autore parlò di tre guerre: una patriottica contro l’invasore; una civile tra italiani su fronti diversi; una di classe, tra operai e borghesi. L’opera scatenò immediatamente un dibattito storico-politico che di fatto non si è mai concluso, che mai sopisce e che ogni anno si riaccende.
Mai perdere la memoria
Quasi tutti i testimoni di allora non ci sono più. Oggi viviamo in un mondo diverso, con la preoccupazione del presente e l’ansia per il futuro. Il rischio è perdere di vista ciò che è stato, relegandolo solo alla Storia, nell’incapacità di immedesimarsi in ciò che quella generazione ha provato e sentito sulla propria pelle. Quei fatti, per chi non li ha vissuti, appaiono lontani nel tempo, ed è compito delle singole storie riportarli alla memoria. E così, sotto i nostri occhi, leggendo i racconti o ascoltando “chi c’era”, scorrono le immagini dei tanti che hanno offerto il proprio contributo. Contadini, operai, studenti, sacerdoti, uomini e donne, hanno sentito il dovere di fare una scelta, spesso pagata con la vita. Dall’altra parte della barricata hanno trovato ad attenderli non solo l’esercito nazista, ma anche amici, compaesani, familiari… Proprio come racconta La notte di San Lorenzo, film dei fratelli Taviani, in quei fatidici giorni la gente comune paga un prezzo altissimo.
Una Nazione riscattata
La memoria della Liberazione ha molti colori. Gli italiani di ogni fede e di diverse idee politiche hanno ritrovato in quei momenti drammatici il senso di unità e di appartenenza a ideali comuni, come in un secondo Risorgimento. Molti di loro hanno proseguito il proprio impegno anche durante la Ricostruzione, portando avanti quella che è stata – forse – la migliore stagione della politica italiana. Nel segno della dialettica, ma sempre all’interno dei valori di quel fatidico 25 aprile, quei giovani di allora sono diventati i Padri Costituenti. Sono stati gli artefici della rinascita della Nazione e del riscatto morale di un intero Paese al tavolo dei vincitori.
Il retaggio della Liberazione
La Liberazione, pur nella tragicità dei suoi giorni, ha infatti lasciato un patrimonio comune: la Costituzione. Un “idem sentire” frutto della sintesi di opposte visioni politiche e della sovranità popolare, nata dalle ceneri di una società distrutta. Quei partiti politici che al referendum del 2 giugno del ’46 ottennero 17.550.567 consensi sono scomparsi. Altri ne sono seguiti nel guidare un’Italia che, nel frattempo, ha dovuto affrontare la lotta al terrorismo e tanti, troppi tentativi di destabilizzazione. Ma l’eredità di un passato collettivo, pur nel dibattito ancora in atto, ha contribuito a mantenere salda la nostra democrazia. Per questo, comunque la si pensi, è necessario celebrare ogni anno il valore di questa festa. Per ricordarci che vivere in uno stato democratico non è poi così scontato e può costare molto dolore. Come la cronaca di tutti i giorni insegna. Come ci insegna questo 25 aprile.
© Riproduzione riservata