«Ora inizio il viaggio che mi porterà al tramonto della mia vita». Così, in una lettera aperta agli americani, il 5 novembre del 1994 l’allora ex presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan annunciava alla nazione e al mondo intero di soffrire di Alzheimer. Lui e sua moglie Nancy avevano scelto di rendere pubblica la notizia nella speranza di accendere i riflettori sulla malattia e di incoraggiare la ricerca di una cura.
Oggi, 25 anni dopo quell’annuncio, ben poco è cambiato. Non esiste ancora una terapia per i 44 milioni di pazienti nel mondo affetti da demenza (destinati a diventare 150 milioni entro il 2050). Ma sullo sfondo di questo sconfortante scenario, nelle scorse settimane, hanno fatto breccia due notizie che riaccendono le speranze. La più recente arriva dalla Cina: l’ente regolatorio di Pechino, la National Medical Products Administration (NMPA), ha dato il via libera ad un farmaco per la malattia di Alzheimer che utilizza l’estratto di alghe brune marine (sodium oligomannate) come materia prima. L’idea di ricorrere a questa sostanza è nata dopo aver constatato che l’incidenza della malattia era particolarmente bassa tra la popolazione anziana che consumava regolarmente alghe. Come viene spiegato sull’autorevole rivista Cell Research, il composto, chiamato “GV-971”, permetterebbe di ottenere un “consistente miglioramento cognitivo” agendo indirettamente sui batteri dell’intestino.
«È plausibile – ha dichiarato all’Ansa Camillo Marra, responsabile della Clinica della Memoria presso la Fondazione Policlinico Gemelli Irccs – che la molecola abbia un qualche effetto, in quanto sono noti sia il ruolo del microbiota che quello dell’infiammazione nello sviluppo di disturbi cognitivi, ma finora queste terapie testate su pazienti non hanno dimostrato efficacia. I nuovi risultati indicano che la ricerca nel campo non deve essere abbandonata. La rapida approvazione ottenuta in Cina, permetterà, tra qualche anno, di aver dati real world sull’efficacia e sicurezza di questa molecola, che ancora presenta delle incognite da approfondire».
Pochi giorni prima dell’annuncio cinese, la farmaceutica americana Biogen aveva dichiarato di essere pronta a chiedere alla Food and Drugs Administration (FDA) l’autorizzazione al commercio della molecola “aducanumab”, un farmaco contro l’Alzheimer che era stato in precedenza scartato dalla stessa azienda perché considerato poco promettente. Il ripensamento si deve all’arrivo di nuovi dati che dimostrerebbero invece che la molecola ad un dosaggio elevato è in grado di rallentare significativamente il declino cognitivo nelle prime fasi della malattia. I pazienti che avevano assunto il farmaco a elevate dosi mostravano una riduzione del declino cognitivo del 23% superiore a quella osservata nei pazienti che avevano assunto un placebo.
La documentazione da presentare all’ente regolatorio sarà pronta all’inizio del 2020. L’iter di valutazione potrebbe concludersi in uno o due anni, al termine dei quali il farmaco, se venisse riconosciuto meritevole del via libera, potrebbe essere accessibile ai primi pazienti. Non si tratterebbe di una cura, ma di un potente freno alla progressione della malattia, una terapia capace di limitare significativamente il danno. Il che rappresenterebbe, comunque, un grande traguardo dopo i fallimenti di tante sperimentazioni.
È prematuro pronunciarsi sulle effettive potenzialità terapeutiche dei due nuovi farmaci, quello cinese e quello americano, perché bisognerà aspettare qualche anno prima di scoprire l’impatto delle terapie sui pazienti che le assumono.
(© Foto Vicky L. Miller)
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