Furono le Olimpiadi di Livio Berruti, che vinse i 200 metri indossando gli occhiali, di Nino Benvenuti, con la sua medaglia d’oro nel pugilato, dei fratelli D’Inzeo, imbattibili nell’equitazione, ma anche di Cassius Clay, vincitore nei pesi mediomassimi che diventerà leggenda, e di Abebe Bikila, il maratoneta etiope che correva a piedi nudi.
Erano le 17,30 del 25 agosto 1960, quando Giancarlo Peris, l’ultimo tedoforo, accese il grande braciere posto allo stadio Olimpico. E, per la prima volta, il mondo intero vide gli atleti gareggiare in diretta.
“Quando sei qui con me, questa stanza non ha più pareti, ma alberi, alberi infiniti…”, era uno dei brani più gettonati, tra le radio e i jukebox, simbolo dell’Italia del boom economico, del benessere, dei sentimenti che avevano la libertà di esprimersi, dopo che per tanti anni erano stati costretti a celarsi. Il cielo in una stanza di Mina risuonava in quei mesi estivi del 1960, nella Roma che si preparava all’evento sportivo più prestigioso al mondo: le Olimpiadi. Gli “alberi infiniti” di cui parlava Mina, in realtà, c’erano davvero: in occasione della XVII Olimpiade di Roma, infatti, ne vennero piantati oltre trentamila, nelle zone interessate dall’evento. E non solo: per l’occasione furono realizzati anche un velodromo per 20.000 spettatori, il Palazzetto dello Sport, che aveva un’architettura avveniristica, con una capacità di 5000 spettatori da utilizzare per le gare di basket, il villaggio olimpico a poca distanza dal complesso del Foro Italico; furono ammodernati ed ampliati altri complessi sportivi pre esistenti, come lo stadio, che da allora prese il nome di “Olimpico”.
I pini di Piazza di Siena, a Villa Borghese, vennero potati ad arte, rappresentando la miglior location possibile ad omaggiare Raimondo e Piero D’Inzeo, i due fratelli che di lì a poco avrebbero conquistarono il podio con l’oro e l’argento nell’equitazione.
Le Olimpiadi che furono il simbolo di rinascita
Le Olimpiadi di Roma furono quelle del boom economico, quelle che entrarono nelle case delle persone perché per la prima volta vennero trasmesse in diretta televisiva. Qualcuno le definì le “Olimpiadi che cambiarono il mondo”. Ed il mondo aveva voglia di essere cambiato, chiudendo nell’armadio, una volta per tutte, gli scheletri e i disastri provocati della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante ciò, gli atleti sovietici e americani non persero l’occasione di “combattere” a modo loro la Guerra Fredda che imperversava tra i due Paesi. Yuri Vlasov sollevatore di pesi, le sorelle Irina e Tatyana Press, imbattibili nelle corse e nei lanci, e il saltatore in lungo Ter Ovanesyan, diedero all’Urss la marcia in più per prevalere – a suon di medaglie – sull’avversario di sempre.
Il medagliere azzurro
Gli italiani furono degli eccelsi padroni di casa: vinsero 13 medaglie d’oro, 10 d’argento e 13 di bronzo. Un bottino di 36 medaglie conquistate che, ad oggi, rappresenta ancora un record.
Tra gli azzurri non possiamo non ricordare lo schermidore Edoardo Mangiarotti, che conquistò un argento e un bronzo. Livio Berruti (nella foto), che si aggiudicò l’oro dei 200 metri, i già citati fratelli D’Inzeo, nell’equitazione. E Nino Benvenuti, campione olimpico dei pesi welter.
Ed è ai protagonisti di allora – due dei tedofori che portarono la fiaccola olimpica nel lungo percorso da Olimpia, in Grecia, a Roma e il grande Nino Benvenuti -, che ci siamo rivolti, a sessanta anni di distanza, per ripercorrere le emozioni di un evento che ha cambiato, per sempre, la storia delle Olimpiadi.
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