Introdotta “quota 103” e prorogate “opzione donna” e Ape sociale. Riforma strutturale rinviata al 2024
Quando potrò andare in pensione? E con quanto? Ogni anno le domande dei lavoratori sono sempre le stesse, soprattutto in fase di approvazione della Legge di Bilancio. Sono ormai trascorsi più di dieci anni dalla tanto vituperata riforma Fornero e da allora si sono susseguite ben nove “salvaguardie” e diverse misure sperimentali per favorire il pensionamento, con il risultato che districarsi tra le norme previdenziali è sempre più difficile. Anche la Legge di Bilancio 2023 non ha di fatto dato l’addio alla riforma Fornero: restano invariati i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia (67 anni di età e almeno 20 anni di contributi) e alla pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).
Il Governo, annunciando una riforma strutturale del sistema previdenziale nel 2024, si è per il momento limitato all’introduzione di “quota 103” e alla proroga di “opzione donna” e Ape sociale. Dopo “quota 100” e “quota 102”, che restano valide per chi ha maturato i requisiti rispettivamente entro il 31/12/2021 e il 31/12/2022, la nuova Legge di Bilancio introduce, in via sperimentale per l’anno 2023, “quota 103”, ossia la possibilità di accedere alla pensione con 62 anni e almeno 41 anni di contributi. Restano ferme le finestre mobili di tre mesi per i lavoratori del settore privato e di sei mesi per il settore pubblico e l’impossibilità di cumulare reddito da lavoro e pensione fino al compimento del 67° anno di età. A queste limitazioni però se ne aggiunge un’altra, decisamente più severa: l’importo della pensione non potrà essere superiore a cinque volte il trattamento minimo (€ 2.818,65 per il 2023) per le mensilità di anticipo rispetto al compimento dell’età pensionabile di vecchiaia. Anche “opzione donna” è stata prorogata, ma con requisiti più stringenti. Potranno accedervi le lavoratrici con 60 anni di età e 35 anni di contributi maturati entro il 31/12/2022, ma solo se appartengono a tre specifiche categorie: caregivers, lavoratrici con una percentuale di invalidità civile pari o superiore al 74%, lavoratrici in forza o licenziate da imprese in crisi. È previsto uno sconto di un anno sul requisito anagrafico per ogni figlio, entro un massimo di due anni. Per le lavoratrici appartenenti alla terza categoria, invece, il requisito anagrafico è fissato 58 anni a prescindere dal numero dei figli.
Prorogata per il 2023 anche l’Ape sociale, un’indennità corrisposta fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia a lavoratori in stato di difficoltà che abbiano compiuto almeno 63 anni di età, abbiano un’anzianità contributiva tra i 30 e i 36 anni e rientrino in una delle categorie individuate dalla normativa (lavoratori che svolgono mansioni gravose, invalidi civili con una percentuale pari o superiore al 74 %, lavoratori dipendenti in stato di disoccupazione che abbiano esaurito il trattamento di NASpI o equivalente, caregivers). Tra norme transitorie, misure sperimentali e proroghe, è partito anche il cantiere per l’annunciata riforma delle pensioni che dovrebbe vedere la luce nel 2024.
Come si legge sul portale istituzionale del Ministero del Lavoro, il ministro Marina Calderone ha innanzitutto anticipato la volontà di ripristinare il nucleo di valutazione della spesa previdenziale, per monitorare in modo efficace la situazione economica e consentire una revisione sostenibile del sistema pensionistico vigente. «La razionalizzazione dei sistemi di accesso alla pensione che ci proponiamo di realizzare risponde alla volontà di dare certezze a quanti, dopo una vita di lavoro, si interrogano rispetto alle effettive prospettive pensionistiche», ha affermato il ministro Marina Calderone, che ha aggiunto: «Serve un quadro chiaro e stabile di norme affinché i singoli possano scegliere come eventualmente provvedere a integrare gli assegni, con congruo anticipo e in maniera sostenibile». Ci auguriamo che le parole del ministro Calderone si possano tradurre in fatti concreti. Questo non solo significherebbe fornire risposte chiare ai dubbi di molti lavoratori, ma rappresenterebbe una spinta verso quell’azione di educazione previdenziale già annunciata nella riforma Fornero e oggi indispensabile per garantire la sostenibilità del nostro regime pensionistico.
© Riproduzione riservata