Dall’ultimo rapporto Censis emerge una popolazione italiana caratterizzata da forte irrazionalità. Questo dato viene registrato in molteplici ambiti: il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni) crede che il Coronavirus non esista e il 10,9% che il vaccino sia inutile; il 19,9% pensa che il 5G sia uno strumento per controllare le persone; il 5,8% considera la Terra piatta e il 10% non crede allo sbarco sulla Luna.
In bilico tra risentimento e speranza: così viene fotografato il nostro Paese nell’anno della ripresa dall’annuale rapporto Censis. Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente. È certo attitudine comprensibile, davanti ai devastanti, improvvisi e imprevisti cambiamenti a cui siamo stati sottoposti individualmente e collettivamente negli ultimi due anni. Non è banale e nient’affatto scontato che quando la storia accelera, l’uomo sia nelle condizioni di inseguirla.
Il cambiamento sano si realizza infatti quando nasce “da dentro”: da dentro le persone, le istituzioni, la società. Viceversa, il cambiamento che viene da fuori e non sempre riesce ad essere accettato, elaborato e rigenerato rimane solo “trauma” e talvolta “ci rompe”, un po’ come un uovo che, se viene spezzato da fuori, serve solo a fare una frittata, e se invece si rompe da dentro, significa che prende vita una creatura.
È quindi indispensabile elaborare le grandi trasformazioni a cui la storia ci ha sottoposto, metabolizzarle appena possibile e in qualche maniera farle proprie. Pensiamo ad esempio al digitale, raccontato nel volume Ipotesi per il futuro degli anziani. Tecnologie per l’autonomia, la salute e le connessioni sociali, realizzato da Fondazione Leonardo e Associazione 50&Più e presentato al CNEL a metà dicembre. Anziani e tecnologia digitale: più grande è il gap, più grande è il beneficio che queste tecnologie possono portare nella vita delle persone, dalle applicazioni “social” alla telemedicina.
Al Censis più del 70% degli italiani ha dichiarato di possedere le competenze di base necessarie per svolgere tutte le attività online. Tuttavia, appare chiara una criticità: la generazione più anziana per oltre il 30% si autoesclude completamente dal mondo digitale. Infatti, se da una parte la tecnologia proprio nel Covid ha salvato tante persone anziane dall’isolamento, dando nuovi stimoli, garantendo di rimanere in contatto con i propri cari e generando nuove possibilità, dall’altra parte il digital divide si fa sentire, sia in termini di competenze sia in termini di accessibilità.
La generazione dei 50 e più è più indietro su competenze digitali e in tema di privacy, accessibilità e diritti legati al digitale, ma è anche il segmento di popolazione maggiormente in crescita e destinato ad assumere un ruolo sempre più centrale in termini sociali ed economici. Non si può lasciare indietro una parte così importante del Paese perché questo significa lasciare indietro il Paese. E creare l’ennesima frattura di un’Italia con troppe polarità.
Ancora una volta, come direbbe proprio il padre fondatore del Censis, il professor Giuseppe De Rita, bisogna dunque tentare di uscire dal “presentismo” che non riconosce valore al passato e non sporge lo sguardo al futuro, presentando la tecnologia digitale alle generazioni più anziane non come un fine in sé – a volte perfino banale, a volte troppo astruso – ma come lo strumento di una strategia di senso che tiene al centro la persona e le sue possibilità di crescere, adattarsi, cambiare. Di cambiare “da dentro”.
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