Con il referendum costituzionale del 2 giugno 1946 l’Italia volta pagina e apre le urne alle donne. Un momento storico che si conclude 16 giorni dopo con la fine della Monarchia e la proclamazione ufficiale della Repubblica.
Per la Festa della Repubblica il 2 giugno torna a Roma la tradizionale parata all’ombra del Colosseo. Tema di quest’anno, quanto mai appropriato, è “Insieme per la difesa della pace”. Il cerimoniale della Festa della Repubblica inizia con l’alzabandiera all’Altare della Patria e la deposizione della corona di alloro al Milite Ignoto. Poi, dopo le Frecce Tricolori, l’attesa sfilata delle Forze Armate in via Fori Imperiali. A ricordarci che seppure l’Italia ripudi la guerra, (art. 11 Costituzione) il loro compito prioritario resta la difesa dello Stato. Unitamente a quello di realizzare la pace e la sicurezza internazionali.
Un paese alle urne
Oggi si celebra una Festa, ma quel 2 giugno 1946 l’Italia andò compatta alle urne per scegliere quale forma dare ad un Paese uscito dal secondo conflitto mondiale con le ossa rotte. Al voto a suffragio universale, che – come noto decreta la fine della monarchia -, partecipò l’89% degli aventi diritto e, per la prima volta, anche la popolazione femminile. Vinse la repubblica, dopo un inizio del conteggio incerto, con una maggioranza non nettissima: 12,7 milioni di voti (54,3%) contro 10,7 (45,7%). Del risultato non scontato e dei brogli più volte denunciati si è detto e scritto molto. Come anche di un’Italia spaccata in due, con un Sud fedele ai Savoia e un Nord repubblicano. Rimane il fatto che, dalle prime elezioni libere dal 1924 nacque l’attuale Costituzione democratica, che trasformò il Paese da monarchia costituzionale a repubblica. Un passaggio ottenuto anche con il contributo delle quote rosa.
Il voto rosa
Ad essere onesti, però, non è il 2 giugno la data di inizio della partecipazione delle donne alla vita politica del Paese. Queste, infatti, avevano già partecipato alle elezioni amministrative in calendario pochi mesi prima. La loro era stata un’affluenza da record (quasi l’89% delle aventi diritto al voto) e aveva portato all’elezione di circa 2 mila candidate nei consigli comunali. Un trend che, di fatto, si ripetè anche in corso al Referendum.
La lezione delle donne
Le cittadine italiane dunque si mobilitarono in massa per partecipare alla vita pubblica, ma quel 2 giugno 1946 sui giornali non mancò la satira, neanche troppo velata. Il Corriere della Sera mise in guardia le lettrici: “attenzione al rossetto, potrebbero rendere nulla la scheda in caso di segni sui bordi per la chiusura”. Molto meglio – raccomandava – ritoccare il trucco fuori dal seggio. E chissà quanti consigli prestati da mariti “esperti” a mogli timorose. Eppure, le 21 donne elette non si fecero scoraggiare dai pregiudizi della società italiana. Molte di loro – oggi ricordate come le Madri Costituenti – parteciparono alla stesura della Carta Fondamentale (21 su 226 candidate). Donne che, dopo l’impegno in prima fila per la libertà, compresero la necessità di sottrarre il Paese alla cultura patriarcale del loro tempo.
Il lavoro delle Madri Costituenti
Tra i nomi illustri anche la (futura) ministra Jervolino, nota non solo per aver governato con De Gasperi, ma anche per aver fatto parte della sottocommissione di inchiesta per la riforma scolastica. E poi Nilde Iotti – prima donna a essere eletta alla terza carica dello stato – e Angelina Merlin, sostenitrice del dovere dello Stato di garantire a tutti i cittadini il minimo necessario all’esistenza e prima sostenitrice dell’articolo 3 sulla parità di genere. Da quel Referendum nasce dunque un’Italia più matura e sensibile verso i temi sociali e la tutela del diritto dei più deboli. Un’Italia nella quale oggi ci rispecchiamo al passaggio delle Frecce Tricolori.
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