Alle 10:25 di sabato alla stazione di Bologna rimangono uccise 85 persone e oltre 200 sono i feriti. Il 5 aprile 2023, dopo quasi 43 anni, si è aggiunto un altro tassello a questa storia con una nuova sentenza della Corte di Assise di Bologna
Sul binario 4 c’è Rossella, ha 19 anni e deve tornare a Prarolo, in Piemonte. Viaggia con l’amica Arianna. Per far stare tranquilli i genitori hanno deciso di non tornare in moto, ma in treno. Fa caldo il 2 agosto 1980, caldissimo, alla stazione di Bologna. Così la lunga attesa sulla banchina diventa insostenibile e Rossella decide di andare al bar a prendere qualcosa da bere. È proprio mentre sta tornando verso l’amica che l’orologio della stazione batte le 10:25. Un sibilo poi un boato gigantesco: l’onda d’urto scaraventa oggetti, colpisce le persone, abbatte i muri. La sala d’aspetto di seconda classe è invasa da fiamme e fumo, l’ala ovest è piegata su sé stessa, il piano superiore crolla verso il basso. L’esplosione è così forte che colpisce il treno al binario 1 e il parcheggio dei taxi sul piazzale. Travolti e sepolti dalle macerie ci sono oltre 200 feriti e 85 morti. Dopo la deflagrazione accorrono sul posto in tanti per aiutare e cercare i sopravvissuti scavando anche a mani nude. Passano poche ore prima che arrivino i vertici dello Stato e raggiungano il luogo del più grave atto terroristico avvenuto nel Paese nel secondo dopoguerra.
L’Italia, incredula, si chiede cosa sia successo, chi sia stato e perché. All’inizio si parla dell’esplosione di una caldaia, proprio com’era avvenuto dieci anni prima a Piazza Fontana, ma non viene scartata l’ipotesi dell’attentato. È verso mezzanotte che soccorritori e inquirenti scoprono un cratere nella sala d’aspetto: la prova che a scoppiare è stata una bomba. Si scoprirà poi che si trattava di 23 chili di esplosivo. I sospetti si concentrano immediatamente sui militanti di estrema destra appartenenti ai NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari), una frangia eversiva clandestina animata soprattutto da un desiderio di vendetta nei confronti del sistema. Nato nel 1977, il movimento è composto da ragazzi giovanissimi come i fratelli Giuseppe Valerio (detto ‘Giusva’) e Cristiano Fioravanti, Francesca Mambro e Alessandro Alibrandi. Le indagini si muovono subito su questa pista “nera” seguendo anche quanto avvenuto in Piazza Fontana nel 1969, in Piazza della Loggia nel 1974 e sul treno Italicus lo stesso anno. Tre settimane dopo, il 26 agosto, la procura di Bologna emette 28 ordini di cattura nei confronti degli esponenti dell’eversione di destra, ma uno dopo l’altro vengono tutti rilasciati per mancanza di prove. Tuttavia, a causa di deboli alibi, versioni contrastanti, contraddizioni, testimonianze (anche a distanza di molti anni) e l’uccisione del potenziale testimone Ciccio Mangiameli, Valerio ‘Giusva’ Fioravanti e Francesca Mambro diventano i principali indiziati della strage di Bologna. Il processo, aperto con difficoltà nel 1987, si chiude nel 1995 con la condanna definitiva dei due insieme a Sergio Picciafuoco. Secondo i giudici, sono loro gli esecutori materiali dell’attentato.
In quegli anni, però, c’è anche chi cerca di depistare le indagini. Ci sono uomini dei servizi segreti che cercano di “confondere le acque” e far pensare a una possibile pista internazionale. Il 13 gennaio 1981 viene rinvenuta una valigetta su un treno Taranto-Milano che contiene esplosivo, armi e due biglietti aerei intestati a un francese e a un tedesco. Questo fa pensare a un’operazione internazionale soprannominata “Terrore sui treni”, rivelatasi poi falsa. Verranno condannati per calunnia aggravata Giuseppe Belmonte, colonnello dei carabinieri e ufficiale del SISMI (Servizio informazioni e sicurezza militare); Pietro Musumeci, agente segreto iscritto alla loggia massonica P2; Francesco Pazienza, faccendiere, e Licio Gelli, detto il “Maestro venerabile” della P2.
Nella ricerca di risposte e spiegazioni che sembrano impossibili da trovare, il 5 aprile 2023, dopo quasi 43 anni, si è aggiunto un altro tassello a questa storia. Sono state depositate le motivazioni della sentenza della Corte di Assise di Bologna che lo scorso anno aveva condannato all’ergastolo Paolo Bellini, ex militante fascista esponente del gruppo Avanguardia Nazionale, per aver concorso alla strage. Nella sentenza si parla di mandanti e finanziatori. Tra i nomi, oltre a quello di Licio Gelli, si leggono anche quelli di Umberto Ortolani, faccendiere e braccio destro di Gelli; Federico Umberto D’Amato, direttore dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno, e Mario Tedeschi, politico eletto con il Movimento Sociale Italiano (MSI) e storico direttore del giornale Il Borghese. Secondo questa sentenza, gli esponenti della P2 non furono solo ispiratori della strage e depistatori delle inchieste giudiziarie, ma giocarono un ruolo attivo. Si legge nei documenti: «Anche coloro che si resero verosimilmente mandanti e/o finanziatori della strage, pur senza appartenere in modo diretto a gruppi neofascisti, condividevano i predetti obiettivi antidemocratici di fondo ed ambivano all’instaurazione di uno Stato autoritario, nell’ambito del quale fosse sostanzialmente impedito l’accesso alla politica delle masse».
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