C’è chi li guarda con sospetto, chi crede che ci ruberanno il lavoro. Ma c’è anche chi pensa che ci solleveranno da lavori pericolosi e che apriranno una nuova epoca per l’uomo. Insomma loro, i robot, riescono a polarizzare i pensieri più distanti fra loro.
C’è una cosa invece che è passata in secondo piano: proprio ieri i robot hanno compiuto 100 anni. Certo, non proprio loro: in realtà gli automi esistono da molto più tempo e sembra che persino nel mondo antico ne esistessero di molto complessi. A compiere 100 anni è stata la parola “Robot”. Il 25 gennaio 1921, infatti, veniva rappresentato in un teatro di Praga R.U.R. (Robot Universali Rossum) di Karel Capek. È qui che per la prima volta compare il termine robot, inventato derivandolo dalla parola ceca robota ovvero “lavoro”.
Dai replicanti ai robot il passo è breve
C’è da dire che i robot di Capek erano in realtà dei replicanti, ovvero umanoidi organici prodotti attraverso una sorta di ingegneria genetica. In seguito, il termine prese ad indicare soprattutto organismi meccanici. Eppure già nella trama del drammaturgo ceco risuonano tutti i nostri dubbi di uomini contemporanei.
In R.U.R. salgono prepotenti domande sulla loro utilità, sui benefici che possono nascondere pericoli, sulla felicità dell’uomo sollevato dal lavoro svolto dai robot, sulla possibilità che possano acquisire una coscienza di sé.
I robot di Capek sono quelli di oggi?
Capek li immaginò senza bisogni, più convenienti quindi di un operaio. La storia inoltre non terminava in modo drammatico o apocalittico, con le macchine che prendevano il sopravvento. Forse perché l’autore ceco non volle portare alle estreme conseguenze le sue riflessioni su un’invenzione di tale portata. Alla fine, in R.U.R, i robot scoprono quanto sia piacevole il modo di riprodursi degli umani, sviluppano sentimenti amorevoli e solidali. Finiscono così per acquisire un’anima.
Di sicuro Capek con i suoi robot “biologici” ci ha visto lungo: gli scienziati lavorano oggi a strutture bio-ibride che mescolano tessuti e cellule viventi con prospettive molto interessanti. E persino il nostro rapporto con essi somiglia a quello narrato dallo scrittore ceco. All’inizio, i robot ci piacciono, ma solo fino a quando non sono troppo simili a noi. Cioè fino a quando non sono troppo realistici.
Guardando al futuro: il 47% dei lavori svolti dall’uomo può essere automatizzato
Oggi i robot sono dentro un bancomat, dentro una pompa di benzina. Assemblano auto e guidano camion. Una ricerca della Bank of America ha messo subito in chiaro che il 47% dei lavori umani si può automatizzare. Insomma, tra non molto, il mercato del lavoro sarà rivoluzionato.
Come se non bastasse, qualche tempo fa, il giornale inglese The Guardian ha pubblicato un articolo sulle ragioni per cui non dovremmo temere i robot. Era scritto piuttosto bene, molto ben argomentato, ma soprattutto era convincente. Il problema? Lo aveva scritto il GPT-3, un sistema che impara dal linguaggio umano. Al momento scrive solo articoli, in futuro chi lo sa.
(Foto di apertura: ANDREY-SHA74/Shutterstock.com)
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