Nella maggior parte dei Paesi europei, il lavoro del caregiver familiare è riconosciuto e tutelato. In Italia, invece, in assenza di una legge, mancano tutele e diritti, dal riposo alla pensione. E molti devono rinunciare a lavoro e carriera
Lavorano tanto, tutto il giorno, spesso anche la notte: eppure, per lo Stato italiano, non sono lavoratori. Sono i caregiver familiari, che prestano assistenza, molte ore al giorno, a volte 24 ore su 24, a un proprio figlio o congiunto convivente. Ma mentre in quasi tutti i paesi europei, il loro impegno è riconosciuto e tutelato dalla legge, in Italia questa legge ancora non c’è.
E senza legge, non ci sono diritti: neanche quei diritti fondamentali che vengono riconosciuti e garantiti a tutti i lavoratori. Il diritto al riposo, per esempio. O a essere sostituiti, quando si sta poco bene. Soprattutto, il diritto ai contributi previdenziali e quindi, un giorno, alla pensione. Niente di tutto questo è previsto, oggi, per i caregiver familiari, a meno che non svolgano un lavoro al di fuori dalle mura domestiche. Anche questo, però, è difficile che accada: specialmente in presenza di un figlio con disabilità e soprattutto se questa è disabilità è grave, la mamma quasi sempre lascia il lavoro.
L’indagine di Associazione Italiana Persone Down e Censis
Lo ha confermato una recente indagine di AIPD e Censis sui caregiver delle persone con sindrome di Down: poco più del 50% di questi ha un lavoro e il 22,4% di questi dichiara di averlo dovuto ridurre il lavoro, mentre il 16,7% ha lasciato oppure e il 14,6% ha dovuto rinunciare alle possibilità di carriera. L’indagine precisa che si tratta, però, di un impatto fortemente differenziato per genere, visto che riguarda il 59% delle caregiver donne, contro il 30,4% dei caregiver uomini.
Ad accendere i “riflettori” sulla condizione dei caregiver, in occasione del 1° maggio, c’è anche Uniamo, la Federazione Italiana Malattie Rare, partner del Concerto al Circo Massimo. “Una recente indagine svolta anche da Uniamo su donne con malattia rara o caregiver, ha messo in luce come circa il 65% dei rispondenti ha dovuto modificare la propria condizione lavorativa per l’impatto della patologia (propria o del figlio)”, spiega la presidente, Annalisa Scopinaro.
Il lavoro, nella vite e nella voce dei caregiver familiari
Alessandro Chiarini è il presidente di Confad, il Coordinamento nazionale famiglie con disabilità, che difende i diritti dei caregiver familiari. Chiarini è padre di due figli, di cui uno di 26 anni, con gravissima disabilità a causa di una paralisi cerebrale infantile. “E’ potuto crescere e ha potuto superare mille traversie grazie soprattutto a mia moglie Monica, che ha dovuto rinunciare al suo lavoro per dedicare la sua vita a lui”, racconta.
Eppure, per lo Stato, Monica è ingiustamente invisibile: lei, come le migliaia di caregiver familiari che dedicano interamente la propria vita alla cura di un figlio con disabilità. Questo prova quanto “l’Italia non sia una nazione inclusiva con i caregiver familiari – afferma Chiarini – Lo ha sancito anche il Comitato Onu, che ha censurato l’Italia per condotta discriminatoria nei confronti dei caregiver familiari, accogliendo il ricorso promosso da Confad. I caregiver familiari devono spesso abbandonare il lavoro, anche a causa della carenza nell’attivazione di servizi per la vita indipendente e dell’insufficienza dell’assistenza domiciliare”.
“Mio figlio in stato vegetativo, mia moglie ha rinunciato al suo lavoro”
Proprio per via di queste carenze nei servizi e nei supporti, il caregiver familiare si ritrova spesso a farsi carico dell’assistenza in solitudine e senza alcun supporto: “Per un caregiver familiare è difficile non dico una vacanza, ma perfino una visita medica”, continua Chiarini. Così, oltre a rinunciare al lavoro, i caregiver familiari spesso sono costretti ad autoescludersi dalla società: “Mio figlio ha 26 anni ed è in condizione di stato vegetativo: io lavoro, perché qualcuno deve lavorare, ma mia moglie da 26 anni ha rinunciato al suo lavoro. Noi abbiamo la fortuna di essere in due, quindi ci aiutiamo, ma penso a tante famiglie monoparentali, tante mamme sole, perché vedove o divorziate: provo una grande amarezza, perché il loro grande impegno, che di fatto è estremamente prezioso per tutta la società, non è in alcun modo riconosciuto”.
Il riconoscimento dei diritti dei caregiver familiari è quindi un obiettivo prioritario. “Il diritto alla tutela previdenziale, innanzitutto, deve essere garantito. E poi va assicurato il diritto al sollievo, attraverso sostegni che permettano al caregiver familiare di concedersi momenti di riposo e una vita più inclusiva. Solo così, anche i caregiver familiari potranno finalmente unirsi alla Festa del 1 Maggio. E solo così si potrà affermare che l’Italia è un Paese civile e inclusivo.
© Riproduzione riservata