Gabriele Oreste Renato Valente. E’ nato a Milano e vive a Roma. Medico-specialista neurologo, ricercatore presso il Policlinico Umberto I e docente presso l’Università ‘La Sapienza’ attualmente in pensione. Oltre ad essere autore di numerose pubblicazioni scientifiche, ha scritto alcuni articoli di carattere divulgativo per la terza pagina della Nazione e del Resto del Carlino. Ha redatto, in collaborazione con il giornalista G.M. Pace, i testi per la trasmissione Rai La fabbrica del pensiero andata in onda su Rai 2 nel 1988 e divenuta oggetto del libro dal titolo omonimo edito da Eri nel 1990. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta.
Indossava con dignitosa noncuranza una tuta grigiastra un po’ sdrucita che aveva perduto da tempo il ricordo del suo colore originario: nero. Se ne stava lì silenziosa come è dato in tempi di Covid a fare la fila davanti al supermercato. La osservai interessato: scuri capelli scomposti ed altrettanto scuri occhi che vagavano persi intorno all’orizzonte desolato della via deserta in attesa del suo turno. Li osservai curioso quegli occhi. Mi è sempre piaciuto fin da quando ero bambino guardare la gente in faccia e in quelle espressioni cercare di leggere nel più intimo del loro essere: felici, tristi, innamorati… quanti profili ho ricamato nella mia mente compilando una specie di lista di un’umanità fantastica! Ho continuato a portare avanti nel mio immaginario quel compito di psicologo improvvisato e silenzioso fino ad oggi: giovani dai sorrisi radiosi, anziani intristiti dagli anni, bambini innocenti e sorridenti, donne e uomini soli o amati, gratificati da piccole o grandi conquiste o privati invece di presenze e di speranze il che ha tolto loro il senso della vita. Non so perché lo faccio, ma è più forte di me: non resisto e questo compito che il destino mi ha per chissà quale motivo imposto lo vivo con piacere e gratificazione perché in questo modo ho la presunzione di poter entrare negli animi di tanta umanità. Forse lo faccio per cercare la mia di essenza che in età ormai avanzata non sono ancora riuscito a trovare.
Fatto sta che in questi giorni a portare avanti il mio assurdo compito nella clausura che ci è impietosamente imposta c’è tra tanti un problema: la mascherina. Restano soltanto gli occhi a fare da specchio alla curiosità che mi induce a penetrare nell’animo di sconosciuti esseri umani per immaginarne schegge di vita. Copre impietosa la mascherina il loro volto che a me piace tanto sondare. E dagli occhi di questi sconosciuti privati delle loro espressioni, dei loro sorrisi, delle loro rughe celate dietro le mascherine, cerco anche in questi tristi giorni di distacco sociale forzato di leggere sentimenti ed emozioni per interpretare il loro modo di essere mentre faccio anch’io la fila davanti al supermercato. È l’unica occasione di socializzare idealmente con estranei e per me va bene così.
Gli occhi di quella ragazza mi apparvero criptici a prima vista e capire il senso di quello che potevano esprimere non era facile. Avrà avuto venti, venticinque anni, il suo corpo come sempre succede per le ragazze era attraente, flessuoso e certamente era stato oggetto delle attenzioni di più di un ragazzo. Mentre la osservavo discretamente cercando di tracciarne presuntuosamente il profilo psicologico notai le sottili caviglie che si mostravano timide tra le scarpe da ginnastica e l’orlo consunto della tuta ingrigita e facevano, pallide, bella mostra di sé. Caviglie lunghe e sottili come quelle dei caprioli, delle gazzelle o delle antilopi africane, caviglie fatte per correre, flettendosi agili per fuggire… già fuggire da che cosa? Non certo dal virus che ci attanaglia, quello non serve, forse fuggire da un destino che poteva non essere dei migliori o forse fuggire da sé stessa… chi lo sa!
Soddisfatto della mia analisi nonostante l’impedimento della mascherina che la ragazza indossava, quando arrivò il mio turno per entrare nel supermercato mi diressi verso la porta scorrevole e quella ragazza non la vidi più e mai più l’avrei rivista. Era scomparsa ai miei occhi e mi dispiacque. Ma io avevo ancora una volta inventato un’esistenza pur dietro la discrezione imposta dalla mascherina che cela mondi, vite, desideri. Cela solitudini imperscrutabili, cela dolori e piaceri, cela sentimenti che neanche io, tanto attento ed interessato agli esseri umani, so fino in fondo interpretare.
Continuo a fare la fila fuori dai supermercati come mi è imposto e mentre me ne sto lì apparentemente attonito davanti a decine e decine di volti nascosti dietro alle mascherine so bene che al di là di ciascuno di quei volti c’è una vita e allora anche in questa situazione così triste io sono contento e continuo imperterrito a studiare occhi che fanno capolino sopra quelle mascherine. Sono l’unico, credo, che durante le lunghe attese davanti al supermercato non si annoia mai anzi si bea nel cercare un rapporto virtuale con sconosciuti violandone con discrezione l’intimità.